-I dolci di Pina- Crostata al cioccolato-

Buongiorno a tutti, ritorniamo a voi con una ricetta ricetta dolce dolce, mi sono nuovamente rivolta a Pina, che di una passione ne ha fatto un’attività, perché lei?

Perché Pina è riuscita a coniugare la passione con la ricerca e lo studio: i suoi dolci sembrano usciti dalle nostre cucine, non hanno perso la genuinità e l’aspetto delle torte delle nostre nonne.

Ma, perché C’è un ma, i passaggi, gli abbinamenti, le procedure, sono proprie di chi si aggiorna continuamente, e si mette al servizio dei maestri pasticceri per imparare sempre più.

Ecco qui di seguito una ricetta proprio per voi lettori di questo blog stravagante che viaggia tra un giardino storico, una potatura ed una ricetta!

Buon divertimento!

Edwige

Ciao Amici

Vi presento uno dei dolci che ritengo veramente molto gustoso …. Da un profumo inebriante …. e dal sapore cioccolattoso …. Un mix tra crema pasticciera ganache al cioccolato fondente e pasta frolla al cioccolato….. veramente una combinazione di sapori entusiasmanti.

Vediamo la ricetta della: “Crostata al cioccolato “

Iniziamo a preparare la pasta frolla al cacao

Ingredienti: 250 gr di burro, 250 gr di zucchero semolato, 2 uova (100 gr), 4 gr di sale, stecca di vaniglia, 10 gr di lievito in polvere, 400 gr di Farina 00, 80 gr di cacao amaro in polvere.

Lavorate bene il burro tagliato a pezzetti insieme allo zucchero, quindi aggiungetevi le uova, il sale ed un pizzico di vaniglia. Impastate bene fino ad ottenere un composto omogeneo.
Unite il lievito e la farina, setacciati insieme, e il cacao; quindi impastate bene il tutto fino ad ottenere un impasto omogeneo e compatto. Formate una palla e avvolgetela nella pellicola trasparente; quindi lasciatela riposare in frigorifero per un ora.

frolla-stampo

Nel frattempo prepariamo la crema pasticceria

Ingredienti: 340 gr di latte fresco, una buccia di limone fresco, 4 tuorli (circa 80 gr),  60 gr di zucchero semolato, 20 gr di amido di mais, 10 gr di farina di riso

Versate in un tegame il latte, le uova, lo zucchero, la buccia di limone. Aggiungere la farina, l’amico di mais e filtrare il tutto con un passino per evitare che si possano formare dei grumi. Fate cuocere mescolando con una frusta fino a far addensare la crema. Versate in una terrina, coprite con pellicola per alimenti a contatto e lasciate raffreddare.

crema-pasticcera

Per profumare la crema potete usare una scorza di limone ma anche bacca di vaniglia, cannella, in base ai vostri gusti. Io preferisco sempre i prodotti della mia campagna sono molto più naturali e profumati. Per aumentare il profumo della vostri dolci conservate la bacca di vaniglia e dopo l’uso fatela asciugare e frullatela insieme allo zucchero semolato lo rende ancora più profumato.

Passiamo ora a preparare la ganache al cioccolato

Portare a bollore 220 ml di panna fresca liquida aggiungere 300 gr di cioccolato fondente al 60% tritato finemente ed amalgamare con una frusta sino a quando la ganache non sarà ben emulsionata.

impasto-cioccolato

È possibile aromatizzare anche la ganache con la spezia che preferite. Un consiglio mettete la vostra spezia preferita come limoni, cannella in infusione  nella panna per una notte intera, così diventerà profumatissima.

Mescolare con una frusta elettrica la ganache e la crema, stendere la frolla in modo da formare un disco dello spessore di circa 3 mm, con la pasta avanzata ricavate delle strisce per la decorazione. Ricoprire la pasta frolla con la crema al cioccolato e disponetevi sopra delle strisce di pasta frolla.
In forno a 175 gradi per 35 minuti

frolla-cioccolato

crostata

crostata-finale

Un vero piacere dei sensi…. In fase di cottura la vostra casa sarà inondata da questo profumo di cioccolato che è veramente inebriante ….. Ottima da assaporare sia ancora tiepida … ma anche fredda quando la crema si sarà ben addensata….

Scrivetemi sulla mia pagina fb

https://www.facebook.com/iDolcidiPina/

per consigli ….  O per ordine sia questa crostata, ma anche tanti altri dolci, cioccolatini, torrone ….

Vi aspetto. Ciao da Pina

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Nantes 2013 capitale europea del verde atterra a Torino L’Aerofloreale-tutti con il naso per aria-

Mi piace condividere con voi il ricordo di questa memorabile e fantasmagorica giornata,a tal punto che al termine della visita all’ Expedition Vegetale ho confuso la realtà con la fantasia!

I soliti quattro passi in Piazza Castello, a Torino, svolto l’angolo, e di colpo a miei occhi compare l’aerofloreale: ordigno unico al mondo degno erede delle aeronavi su cui viaggiavano i personaggi di Jules Verne, una serra volante che funziona grazie all’energia  VEGETALE!!!

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Costruita con palloni di tela, eliche verticali ed orizzontali sorvola il mondo a bassa altitudine: è alla ricerca di piante e vegetali rari il cui uso può essere impiegato in energia alternativa”pulita”.

A bordo ingegneri, botanici, climatologi, giardinieri,cuochi, il suo funzionamento è garantito solo ed esclusivamente dal compostaggio e quindi dal metano delle piante ospitate a bordo.

L’elettricità invece è garantita dall’energia fotovoltaica prodotta dalle piante a bordo che crescono nelle serre integrate, attenzione il percorso è intuito dall’ordigno che atterra nelle città dove secondo i suoi parametri ci sono specie interessanti!

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A Torino gli esperti studieranno il platano e la vite.Il comandante a bordo ha introdotto il regolare consumo di una bevanda di sua fabbricazione ottenuta dalle foglie di vite rossa, per quanto attiene invece il vino il consumo è limitatissimo: per evitare l’effetto collaterale: “in vino veritas”.

Il platano invece attraverso i suoi minuscoli frutti e più precisamente la loro fermentazione si otterrebbe un gas ad alta prestazione ” PETANO G 3″.

Che bello se fosse vero

abbiamo sognato per un giorno

la vostra psico-terra-peuta

🙂

 

Mario Giacomelli

Biografia

A tredici anni è garzone presso la Tipografia Giunchedi finché non sopraggiunge la guerra, vi ritorna, dopo aver partecipato ai lavori di ricostruzione dai bombardamenti, come mario.jpgoperaio tipografo. Nel 1950 decide di aprire una sua tipografia.
Nel 1953, Giacomelli acquista una Bencini Comet S (CMF) modello del 1950, con ottica rientrante acromatica 1:11, pellicola 127, otturazione con tempi 1/50+B e sincro flash.  In quegli anni frequenta lo studio fotografico di Torcoletti, il quale gli presentò Giuseppe Cavalli, artista e critico d’arte. Sotto la guida di Ferruccio Ferroni e con la supervisione di Cavalli, Giacomelli si addentra nella tecnica fotografica. Nel 1954 si costituisce il gruppo fotografico “Misa”. Iniziano le prime pubblicazioni sulle riviste specializzate di Fotografia. Intanto il fotografo inizia a chiedere ai contadini, pagandoli, di creare con i loro trattori precisi segni sulla terra, agendo direttamente sul paesaggio da fotografare per poi accentuare tali segni nella stampa. Tramite Crocenzi, nel ’61 Elio Vittorini chiede a Giacomelli l’immagine Gente del sud (dalla serie Puglia) per la copertina dell’edizione inglese di Conversazione in Sicilia. Nel ’63 Piero Racanicchi, che insieme a Turroni è stato tra i primi critici sostenitori dell’opera di Giacomelli, segnala il fotografo a John Szarkowski, direttore del dipartimento di Fotografia del MOMA di New York che sceglie di esporre una sua fotografia alla mostra The Photographer’s Eye. Nel ’64 Szarkowski acquisirà poi l’intera serie Scanno e alcune immagini della serie Pretini. Nello stesso anno partecipa alla Biennale di Venezia con la serie dell’Ospizio, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Nel ’78 partecipa alla Biennale di Venezia con fotografie di Paesaggi. Nel 1983/87 crea Il mare dei miei racconti fotografie aeree scattate alla spiaggia di Senigallia. Mario Giacomelli ci lascia il 25 novembre del 2000 a Senigallia, dopo un anno di malattia.


Su segnalazione di una cara amica in visita a Roma in questi giorni, ho potuto conoscere e comprendere meglio l’artista Mario Giacomelli ed è stata una piacevole scoperta. La sua storia di “fotografo della domenica” mi ha affascinato particolarmente e me lo ha fatto sentire subito vicino. La ricerca della verità e delle sue paure nelle opere che ci ha lasciato rivelano un’anima controversa, mai serena, l’anima di un vero artista che scatta per sentire tutto se stesso.

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Presa di coscienza sulla natura, Marche, 1977-2000. (Archivio Mario Giacomelli)

Quello che restituisce quest’uomo che non ha una grande cultura, ma si lascia affascinare e  trasportare dalla poesia e dalla pittura, è la ricerca di cose semplici, i profumi, i gesti, le carezze e i paesaggi, famose le sue geometrie, l’ingenuità e le difficoltà giornaliere raccontate con una capacità di invasione dell’animo di chi guarda, senza violenza nel soggetto che viene impresso.

E’ la delicatezza di chi sente vicina la persona che va a ritrarre, la quale si predispone con animo sereno al suo intento, senza negare nulla del suo sentire. Trovo in questa capacità di farsi tutt’uno con il soggetto ritratto, non facendolo rimanere un elemento a sé, ma completamento di un’opera non solo fotografica, ma tendente al pittorico, con una forte carica emotiva e una presenza evidente dell’artista, una grande qualità, rara, capace di rendere unici gli scatti di Giacomelli, che fanno entrare, suscitando domande e dubbi, lo spettatore ammirato da tanta maestria compositiva.

Allo stesso tempo, in alcune sue opere, Giacomelli lascia un vuoto da riempire, una sensazione di spazio aperto che lo fa aprire allo sguardo di chi osserva lasciandolo immaginare, creando sogni, disagi, paure e gioie. La foto come arte, come interpretazione infinita.

I pensieri che ha poi lasciato, ci raccontano di un uomo con un animo sensibile fuori dal comune, a discapito di un aspetto inquietante, una persona poetica nel suo modo di essere e vivere, che porta con sé quel che gli manca e che non è riuscito a coltivare. Per fortuna qualcosa ha trovato nella fotografia, e ce lo ha donato. Sarò sempre grato a Mario Giacomelli.

“Non so bene come li aveva, mia madre. Forse la sola differenza tra noi era che lei portava un vestito da donna, e io da uomo. Di mia madre, la cosa che mi sembra la più importante, e anche la più bella, è che in tutta la sua vita non sono mai riuscito a dirle che la amavo. Forse per il mio cattivo carattere, o per timidezza. Non sono mai riuscito a darle un bacio, e nemmeno a chiederle come stava. È morta pochi mesi fa. Ho baciato le sue labbra, dopo morta, ma per me era bello, e da quel momento ho cominciato a vivere con lei, adesso le chiedo come sta, se è felice di me.”

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Io non ho mani che accarezzino il volto, 1962-1963

Fino al 29 maggio 2016  Palazzo Braschi, Roma

Con circa duecento fotografie, La figura nera aspetta il bianco è una grande retrospettiva che ospita i più grandi lavori di Mario Giacomelli. Partendo dagli scatti presi sulla spiaggia di Senigallia ai “pretini” in festa, passando per Scanno fino ad arrivare alla storia di Un uomo, una donna, un amore. Protagonista delle sue immagini rimane comunque il paese in cui è nato e ha vissuto, e la sua regione, le Marche, che ha raccontato da ogni punto di vista. I campi, i laghi e le montagne, di cui ha messo in risalto i contrasti e le linee, nella loro naturale evoluzione e nei cambiamenti dovuti all’intervento umano.

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Il Bambino di Scanno. (Archivio Mario Giacomelli)

L’arte di Margherita Sarfatti

Di lei molto si è parlato e sparlato, se non altro per il sodalizio politico e sentimentale che ebbe con il Duce, sua amante e sua raccontatrice.

ma molto tempo prima, da giovanissima intraprese l’ardua e spinosa via del percorso intellettuale, mentori ed amanti ebbe: Boccioni ,poi si legò intellettualmente a D’Annunzio con il quale tentò di allontanare Mussolini da Hitler.

Una critica d’arte ante litteram ma soprattutto inizio’ a parlare di arte contemporanea.

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La regina dell’arte nell’Italia fascista

Rachele Ferrario

ed. Mondadori

Massimo Berruti

BIOGRAFIA9bfc1194d1

Nato a Roma nel 1979, smette di studiare biologia dopo aver frequentato un breve corso di fotografia nel 2003. Fotografo freelance dal 2004, attualmente vive a Roma ma il suo cuore batte in Pakistan: «Amo questa terra e la semplicità della sua gente. Proprio dove l’uomo conosce il peggio di sé, è capace di dare luce ai suoi aspetti migliori».

I primi temi a cui si è interessato sono stati italiani: le periferie, la crisi industriale, l’immigrazione. La sua carriera di giovane reporter si consolida da subito lavorando per i più importanti giornali italiani ed europei: L’Espresso Paris Match The Independent Internazionale D La Repubblica delle Donne . Dal 2007 viaggia spesso in Afghanistan e Pakistan per documentare l’evoluzione sociale e politica dei due paesi, ma è riuscito lo stesso a scattare un reportage tutto italiano per Marie Claire(marzo 2010) sui circoli politici milanesi. Oggi è tra i migliori della sua generazione: Best Young Reporter a Perpignan nel 2009, secondo al World Press Photo 2007 nella categoria Storie Contemporary Issues e premio di eccellenza nella sezione News Picture Story del POY Prize (Picture of the Year) nel 2010.

 


 

Inizia con Massimo Berruti una serie di appuntamenti con “il personaggio” che sentirò di raccontare da qui ai prossimi mesi, anni (spero)…e non è un caso che sia lui a inaugurare questo percorso, perché il modo di vedere la fotografia di questo meraviglioso fotografo è più che vicino a me.

Dopo aver visto la puntata di Fotografi di Sky Arte su Massimo Berruti, infatti ho sentito di essere una persona piccola piccola, che non ha ancora fatto abbastanza per comprendere fino in fondo quel che da un senso all’arte della fotografia come racconto, come punto di vista non invadente, ma vero, non filtrato da un proprio gusto puramente edonistico.

 

Raccontare perché c’è bisogno di far sapere.

Oggi è semplice rinchiuderci nei nostri mondi fatti di poco o nulla, nel nostro convincimento che ogni giorno sia un giorno utile, un giorno in cui aver realizzato qualcosa, ma spesso può capitare di restare con noi stessi, anche se so che accade solo ad alcuni, e rendersi conto di non aver fatto poi granché. La piccola lezione di questo fantastico fotografo che non si ritiene, per fortuna, il classico fotografo che ama solo fregiarsi di foto che hanno il puro e semplice valore tecnico, anzi lo rifugge, mi ha molto colpito, perché ha scelto davvero, scelto di dedicarsi, senza mettere se stesso prima di tutto. O almeno ha visto se stesso in un contesto, e gli si è dedicato, si è immerso in un luogo diverso, senza pensare più di far parte necessariamente di un posto in particolare nel mondo.

Target Killings in Karachi

“Usare questa estetica, per restituire una dignità che le persone meritano”

La frase di Berruti, sentita e non banale, mi ha fatto comprendere cosa spinge un reporter a rischiare, a mettersi in gioco, ad abbandonare un mondo più rassicurante per una missione. E nel viaggio di Berruti si sente, con tutta la sua forza, il percorso e il desiderio che spingono a vivere in un mondo dove ogni cosa ha un valore diverso da quello che viviamo ogni giorno. Gli scatti trasmettono una naturale ed efficace centratura della situazione e ti portano all’interno di emozioni che non sono mai scontate. Negli scatti di Berruti c’è il cuore, la sua anima, ma non c’è mai invasione, proprio per questo lo scatto non ti viene imposto, ma semplicemente mostrato per essere interpretato.

Un sentito grazie a Massimo Berruti per quello che sa regalare.

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World Press Photo 2016

Hope for a New Life

Speranza per una nuova vita

World Press Photo 2016, premia la foto di Warren Richardson e dedica al dramma dei migranti la Picture Of The Yearepfhdiprkubvilmylaja

28 Agosto 2015
Un uomo passa un bambino attraverso la recinzione al confine ungherese-serbo in Röszke, Ungheria, 28 agosto 2015.

Ogni anno il mondo della fotografia attende con ansia questo momento: i nomi dei vincitori del World Press PhotoQuella 2016 è la 59esima edizione del concorso fotogiornalistico più prestigioso. La giuria, composta da fotografi ed editor e riunita ad Amsterdam, ha dovuto scegliere tra le 85mila immagini ricevute, di 5775 autori diversi. Alla scorsa edizione il titolo di Photo Of The Year era andato a Mads Nissen con il ritratto di una coppia gay in RussiaQuest’anno a trionfare è l’australiano Warren Richardson con uno scatto sul dramma dei migranti. Lo scatto, che ha vinto anche il primo premio nella categoria Spot News, mostra un uomo e un bambino che attraversano la frontiera tra Seria e Ungheria la notte del 28 agosto 2015. All’epoca il muro di protezione non era ancora stato completato in quella zona, tra Horgoš (Serbia) e Röszke (Hungary).

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Richardson è un fotografo freelance che vive a Budapest, in Ungheria, e qualche mese fa è finito sui giornali perché malmenato dalla polizia locale. “Ho dormito con i rifugiati cinque giorni sulla frontiera”, ha raccontato, “è arrivato un gruppo di circa 200 persone e si sono nascosti sotto gli alberi vicino al muro. Prima hanno mandato avanti donne e bambini, poi padri e anziani. Stando con loro, ho giocato a nascondino con la polizia per tutta la notte. Ero esausto quando ho scattato la fotografia. Erano circa le 3 di notte e non potevo usare il flash, perché ci avrebbero scoperti. Avevo soltanto la luce della luna“.

Quando abbiamo visto questa foto abbiamo capito che era importante. Ha un enorme potere perché è semplice, con in più il simbolismo del filo spinato. Abbiamo pensato che avesse quasi tutti gli elementi per dare un’immagine potente della situazione dei rifugiati. E’ una foto molto classica, ma anche senza tempo. Fa il ritratto della situazione, ma il modo in cui è stata scattata è classica nel senso più ampio della parola“, ha detto il presidente della giuria Francis Kohn, direttore dell’agenzia France-Presse.