Pillole di follia: andar per Arte

Siamo all’inizio dell’autunno, l’inizio dei programmi per la nostra vita, il clima è dolce, la vita chiama, ed allora viaggiamo light e godiamoci qualche fine settimana fuori, una mostra per esempio, una passeggiata, un bicchiere di vino e la vita è meravigliosa! Qualche idea:

Rovigo

                                   Le Secessioni che mutarono il volto dell’Europa

dal 23 settembre al 21 gennaio

Palazzo Roverella

0425-460093

Parigi

Maison europeenne de la photographie

dal 6 settembre al 29 ottobre

L’estetica delle rovine

http://www.mep-fr.org.

Londra

Franco Angeli

dal 3 ottobre al 18 novembre

http://www.ronchinigallery.com

Roma

Picasso tra cubismo e classicismo 1915-1925

dal 22 settembre al 21 gennaio 2018

Scuderie del Quirinale

http://www.scuderiequirinale.it

Pistoia

Marino Marini

Passioni visive

dal 16 settembre al 7 gennaio 2018

Palazzo Fabroni

 

 

 

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Conversazioni sull’erba per mamme e bambini

Il progetto
“ Apprendista di felicità”
-Conversazioni sull’ erba per mamme e bambini-
(tutto ciò che accade in un vaso avviene nell’ anima)
“Tra pennarelli,pennelli,mani sporche di terra, piccole piante impariamo a prenderci cura di qualcosa, sì,perché l’arte del giardino a questo serve, a vedere i cicli della natura, l’alternarsi della vita,sperimentare la malattia,il timore che la piantina possa non farcela, e la gioia che pervaderà i loro volti quando, una volta ritornati, vedranno la “nascita”… sicuramente un bel momento di condivisione … dove i più grandi insieme ai loro piccoli inizieranno ad esercitare l’arte della pazienza e della sperimentazione senza le quali non c’è giardino. Mi piace pensare ad esso, lembo di terra recintato e protetto, come ad un’occasione di incontro fra esseri umani, fra famiglie.”( Edwige Mormile).

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Il progetto prevede un ciclo di quattro incontri tra mamme e bambini:

Durante gli incontri sarà presente il fotografo ritrattista Luca Daniele
happening

Aperibimbo: freschi succhi di centrifughe di stagione e merenda bio
Aperimamma: la tradizione Irpina dei suoi superbi vini
Spazio letture botaniche per grandi e piccini
Dove?
Naturalmente all’ aperto sull’ erba e in terrazzo
(Parco Residenziale Abate, Tuoro Cappuccini n.13)
Quando?

Dalle 17- 19,30
Lunedì 12 giugno
Lunedì 19 giugno
Lunedì 26 giugno

lunedì 3 luglio

In caso di maltempo gli incontri verranno rinviati
Materiale in dotazione al bambino
Guantini-lavoro
Piantine, semi, terra,foglie per erbario,carta, colla, pennarelli, pennelli, tempere…

Contatti
A cura delle psico-terra-peute
Edwige Mormile (giardiniere paesaggista ) -338 35 99 532-
Maria Grimaldi (educatrice d’infanzia) -389 9336778-
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Anders Petersen

Se volete scoprire chi siete veramente dovete cercare situazioni aliene a tutto ciò che finora è stato vissuto come “normale”. Dovete andare fino in fondo, e vi accorgerete che nel degrado c’è una mancanza di pressione che può essere liberatoria.

Anders_PetersenParole di Anders Petersen, grande fotografo svedese che per tutta la sua carriera ha vagato per nightclub, carceri, istituti psichiatrici e case di cura in cerca dei suoi soggetti preferiti: prostitute, senzatetto, tossicodipendenti e altri reietti dalla società, fotografati in uno struggente bianco e nero. Senza mai giudicare o compatire, Petersen si sente uno di loro. Con un approccio sincero e fortemente empatico, è come se guardasse il mondo per la prima volta, con lo sguardo puro.

 

Era la fine degli anni ’60 quando queste immagini irruppero sulla scena internazionale, ed erano tempi in cui i costumi stavano sempre più aprendosi ma in cui c’erano ancora molte resistenze nel parlare di temi quali la sessualità e la violenza. Petersen affronta a viso aperto queste tematiche, sbattendole in faccia a una società ancora troppo perbenista.

Petersen mostra cosa vuol dire vivere da outsider, fuori dalle regole sociali e da ogni convenzione, e come contemporaneamente non ci sia nulla di così “anormale” nella vita di queste persone. Petersen, nato nel 1944, iniziò la sua lunga carriera con il progetto “Café Lehmitz” ambientato in un bar di Amburgo, dove vi fece la sua casa temporanea dal 1967 al 1970. Una delle immagini fu usata da Tom Waits nel 1985 come copertina del suo album “Rain Dogs”. Non ha mai abbandonato il suo stile inconfondibile, anche nei suoi lavori più recenti come Close Distance del 2002 o From Back Home del 2009.


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Cerco una relazione forte con le persone che fotografo…

Per lui fotografare è un modo per cercare se stessi, dato che ogni ritratto è una sorta di autoritratto che non deve mostrare solo l’altra persona ma anche svelare qualcosa del fotografo: «Cerco una relazione forte con le persone che fotografo, e questo riguarda i desideri, i sogni, i segreti. Forse anche incubi e paure».

Ogni suo ritratto è molto più che una semplice documentazione, perché contiene qualcosa di impenetrabile e ignoto che racconta le paure e le ossessioni del genere umano. Le sue sono immagini perturbanti che lasciano aperte mille interpretazioni.

Negli anni ’60 Anders Petersen vedrà una fotografia che cambierà la sua vita: l’immagine di un cimitero a Parigi. Nella foto è inverno, ha nevicato, qualcuno deve aver camminato sulla neve lasciando delle orme poco prima dell’arrivo del fotografo.

Era come se i morti fossero risorti dalle loro tombe durante la notte per fare una  passeggiata intorno, visitandosi a vicenda. E il fotografo ha scoperto ciò attraverso i passi. Questa esperienza mi ha fatto seriamente interessare a esprimermi in immagini.

slide_412888_5216096_freeInsieme  alla capacità di essere in contatto con la propria essenza, è fondamentale quella di entrare in relazione con i propri soggetti, il grado di intimità che si riesce ad instaurare, la capacità anche di perdersi un po’ – ma non troppo.  “Bisogna sempre mantenere una certa lucidità,  altrimenti si rischia di commettere gravi errori, e tradire cosi la fiducia dei nostri soggetti.”

Petersen non ha problemi a definire la “realtà” come soggettiva e il gesto fotografico come un processo di profonda conoscenza del sé. Anders rifiuta il concetto dell’oggettività fotografica, non ha paura di entrare – metaforicamente – nelle sue immagini, e mostrarsi. Le sue fotografie vanno oltre l’aspetto descrittivo e documentario, diventando degli ibridi fra il sé, e l’altro da sé.

La fotografia quindi come modo di vivere, per cui il processo fotografico diventa uno strumento per la costruzione della propria identità, attraverso il riconoscimento dell’alterità: «conoscere se stesso» è sempre ri-conoscersi attraverso l’altro.

Da vedere, da vivere, Petersen è un vero fotografo dell’anima.

 

Massimo Berruti

BIOGRAFIA9bfc1194d1

Nato a Roma nel 1979, smette di studiare biologia dopo aver frequentato un breve corso di fotografia nel 2003. Fotografo freelance dal 2004, attualmente vive a Roma ma il suo cuore batte in Pakistan: «Amo questa terra e la semplicità della sua gente. Proprio dove l’uomo conosce il peggio di sé, è capace di dare luce ai suoi aspetti migliori».

I primi temi a cui si è interessato sono stati italiani: le periferie, la crisi industriale, l’immigrazione. La sua carriera di giovane reporter si consolida da subito lavorando per i più importanti giornali italiani ed europei: L’Espresso Paris Match The Independent Internazionale D La Repubblica delle Donne . Dal 2007 viaggia spesso in Afghanistan e Pakistan per documentare l’evoluzione sociale e politica dei due paesi, ma è riuscito lo stesso a scattare un reportage tutto italiano per Marie Claire(marzo 2010) sui circoli politici milanesi. Oggi è tra i migliori della sua generazione: Best Young Reporter a Perpignan nel 2009, secondo al World Press Photo 2007 nella categoria Storie Contemporary Issues e premio di eccellenza nella sezione News Picture Story del POY Prize (Picture of the Year) nel 2010.

 


 

Inizia con Massimo Berruti una serie di appuntamenti con “il personaggio” che sentirò di raccontare da qui ai prossimi mesi, anni (spero)…e non è un caso che sia lui a inaugurare questo percorso, perché il modo di vedere la fotografia di questo meraviglioso fotografo è più che vicino a me.

Dopo aver visto la puntata di Fotografi di Sky Arte su Massimo Berruti, infatti ho sentito di essere una persona piccola piccola, che non ha ancora fatto abbastanza per comprendere fino in fondo quel che da un senso all’arte della fotografia come racconto, come punto di vista non invadente, ma vero, non filtrato da un proprio gusto puramente edonistico.

 

Raccontare perché c’è bisogno di far sapere.

Oggi è semplice rinchiuderci nei nostri mondi fatti di poco o nulla, nel nostro convincimento che ogni giorno sia un giorno utile, un giorno in cui aver realizzato qualcosa, ma spesso può capitare di restare con noi stessi, anche se so che accade solo ad alcuni, e rendersi conto di non aver fatto poi granché. La piccola lezione di questo fantastico fotografo che non si ritiene, per fortuna, il classico fotografo che ama solo fregiarsi di foto che hanno il puro e semplice valore tecnico, anzi lo rifugge, mi ha molto colpito, perché ha scelto davvero, scelto di dedicarsi, senza mettere se stesso prima di tutto. O almeno ha visto se stesso in un contesto, e gli si è dedicato, si è immerso in un luogo diverso, senza pensare più di far parte necessariamente di un posto in particolare nel mondo.

Target Killings in Karachi

“Usare questa estetica, per restituire una dignità che le persone meritano”

La frase di Berruti, sentita e non banale, mi ha fatto comprendere cosa spinge un reporter a rischiare, a mettersi in gioco, ad abbandonare un mondo più rassicurante per una missione. E nel viaggio di Berruti si sente, con tutta la sua forza, il percorso e il desiderio che spingono a vivere in un mondo dove ogni cosa ha un valore diverso da quello che viviamo ogni giorno. Gli scatti trasmettono una naturale ed efficace centratura della situazione e ti portano all’interno di emozioni che non sono mai scontate. Negli scatti di Berruti c’è il cuore, la sua anima, ma non c’è mai invasione, proprio per questo lo scatto non ti viene imposto, ma semplicemente mostrato per essere interpretato.

Un sentito grazie a Massimo Berruti per quello che sa regalare.

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Prologo

Vedendo Nero su Bianco, uno speciale del TG1, segnalatomi da una persona a me cara, ho potuto apprezzare un programma ben fatto che ha raccolto testimonianze da grandi fotografi che hanno lasciato numerosi insegnamenti e indicazioni su come fare fotografia, e ho capito ulteriormente quel che mi ha trasmesso immediatamente questa realtà visiva che mi ha invaso fino a sorprendermi: la complessità di un’arte che vive di semplicità.

La semplicità che ritrovi nella vita di tutti i giorni, ma che devi sentire e attraversare cercando di capire fino in fondo per immergerti in una realtà che vuoi trasmettere senza filtri. Come diceva Henri Cartier Bresson, ci vuole occhio, cuor e mente per scattare una foto che possa trasmettere, raccontare o per lo meno emozionare. Il senso del vivere la fotografia come l’ho sentita da subito è raccontare, senza dover per forza inseguire la perfezione tecnica della foto pura e semplice che toglie invece di completare; è un atto di libertà che può donare ad ogni foto la sua vera anima, non controllata fino all’eccesso da una spasmodica ricerca della perfezione, che non esiste men che meno nella vita.

E’ la ricerca di una magia che riesci a creare e sentire che rende la fotografia diversa da ogni forma d’arte, perché ti lascia render conto davvero in quell’attimo quanto sei stato felice. L’esperienza fotografica per me è stato dapprima un rifugio, un modo per parlare senza esser visto, in un momento della mia vita in cui ho preferito far venir fuori solo l’anima con le sue amarezze e mancanze, senza aggiungere molto altro. Questo modo di esprimersi ha un rischio però, e la comprensione è di pochi, purtroppo; col tempo ho compreso, o almeno cerco di comprendere cosa è adesso e cosa sarà per me questa forma di espressione comune, ma che di comune può avere molto poco. Ma questo lo rivelerò nel prossimo appuntamento…per ora vi lascio osservare la foto che mi ha fatto provare le prime emozioni coscienti nei confronti di una foto in bianco e nero.

A presto.

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Henri Cartier Bresson, Palermo

Prologue

Seeing Black on White, a special TG1, thanks by a person dear to me, I could appreciate a well-made program that has collected testimonies by great photographers who have left many teachings and directions on how to do photography, and I understand further what it immediately sent this visual reality that invaded me up to surprise me: the complexity of an art based on simplicity.

The simplicity that you find in the life of every day, but you have to feel and go through trying to figure out the way to immerse yourself in a situation you want to convey without filters. In the words of Henri Cartier Bresson, it takes eye, heart and mind to take a picture that can be transmitted, or at least tell excite. The sense of living photography as I heard it from the start is to tell, without having to chase the technical perfection of the pure and simple photo that instead takes to complete; is an act of freedom that can give each photo its true soul, not excessively controlled by a frantic search for perfection, that there is no less than less in life.

And ‘the search for a magic that can create and feel that makes it different photograph from every form of art, because it really leaves you to account for that moment because you were happy. The photographic experience for me was at first a refuge, a way to talk without being seen, in a moment of my life when I decided to bring out only the soul with its disappointments and failures, without adding more. This mode of expression is a risk, however, and understanding is of a few, unfortunately; with time I understood, or at least try to understand what is now and what will be for me this form of common expression, but that the municipality may have very little. But I will reveal in the next round … for now I leave you view the photo that made me try out the first conscious emotions against a black and white.

See you soon.