Teatro Carignano Torino- Riccardo III

Il cattivo è un super-eroe, spietato ma seducente. E’ il mondo dei cattivi che diventano eroi. Ognuno diventa Riccardo III pur di raggiungere il potere, il tiranno è un anarchico incoronato, la ferocia mascherata da comicità latente.

Un adattamento assai, assai libero del Riccardo III shakespeariano, la riscrittura tanto si distanzia quanto gli elementi shakespeariani ritornano nel cross-over dei personaggi e nella brama del potere.

Tutta la vicenda si svolge in uno chalet invernale in alta montagna, lo spazio ristretto costringe ad un contesto di alienazione in cui si sviluppa la grande follia. Riccardo si esibisce fra finzione e performance in soliloqui rivolti alla platea, bramoso e assassino, mentre una cortina trasparente si alza e abbassa fra palcoscenico e attori, muovendo, Riccardo, tra i vivi e i morti come un deus…mentre i morti si accatastano in un angolo del palcoscenico.

Si alternano riprese cinematografiche grottesche e surreali all’interno di un auto, ma di cosa è capace l’umanità nella sua incessante e sanguinosa ricerca del potere? Che cosa vuole dirci l’allestimento dello spettacolo? … Racconta vicende che spesso accadono, un testo attuale ed estremo.

Paolo Pierobon (Riccardo III) crudo e grottesco, all’inizio in proscenio con fare affabile e ironico ci illumina sulle sue future nefandezze, poi nella durata dello spettacolo altera con incoerenza il suo personaggio restituendolo al pubblico con una forza anticonvenzionale rispetto alla rappresentazione logica: e qui troviamo Shakespeare.

Il lavoro di adattamento del testo è stato immenso: la riduzione del numero dei personaggi, prima di tutto, ricreati che potessero essere riconoscibili nella contemporaneità; il ruolo della donna assai differente da quella shakespeariana, il linguaggio, tra l’arcaico e il moderno, visto come falsificazione, la parola non comunicazione bensì mistificazione.

Un cenno alla figura femminile…rintrodotta per sottolineare la sua esposizione alle lotte politiche ma priva di mezzi per esercitare il suo potere, fino ad arrivare al finale, inaspettato, Elisabetta( Elisabetta Mazzullo) un po’ profetessa un po’ Cassandra immagina scenari aperti: cos’è il potere nella nostra attuale situazione, i personaggi pensano ciò che dicono o semplicemente manipolano? Elisabetta sfida…

Un ruolo importante all’interno della scatola scenica è il Video: discreto non invadente, un filtro costantemente presente fra noi e i fatti: il potere dei mass-media, la comunicazione che inganna, e, in ultima analisi è lo spazio non concreto per poter raccontare avvenimenti che non accadono hic et nunc.

Non possiamo non parlare di Buckingham (Jacopo Venturiero) il personaggio del “come”… come raggiungere il potere. Colui che si occupa della macchina del fango: verità celata e verità raccontata, ma, anche lui, avrà un punto oltre il quale non potrà andare…la speranza.

a cura di Edwige Mormile

con

Paolo Pierobon ( Riccardo)

Elisabetta Mazzullo (Elisabetta)

Jacopo Venturiero (Buckingham)

Francesco Bolo Rossini (Edoardo- Il presidente della corte suprema)

Stefano Guerrieri (Clarence – arcivescovo)

Lisa Leandro (Anna)

Matteo Alì (Hastings)

Nicola Pannelli (Stanley)

Manuela Kustermann( Cecilia)

Marto Pizzigallo ( Margherita)

Alberto Boubakar Malanchino ( Rivers- secondo sicario- Tyrrel)

Nicola Lorusso ( Catesby- primo sicario)

in video

Alessandro Bonardo (Eddy)

Tommaso Labis(Ricky)

regia Kriszta Székeli

scene Botond Devich

costumi Dora Pattantyus

luci Pasquale Mari

suono Claudio Tortorici

video Vince Varga

assistente luci Gianni Bertoli

produzione TST di Torino

Teatro Stabile di Bolzano

Emila Romagna Teatro Nazionale

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La Legge della Parola

Massimo Recalcati

“Mangia con gioia il tuo pane

Bevi tutto il tuo vino

In ogni momento della tua vita vestiti a festa”

Iniziare a raccontarvi questo testo mi agita un po’…ed arriva quando mi chiedo del perché ogni giorno devo darmi gioia e soddisfazione… Da tutta la vita, da ragazzina, sono alla ricerca del Dio, o come diceva mio papà del senso dell’esistenza, complice proprio il genitore che mi regalava all’età di quattordici anni Confucio o Nino Salvaneschi, o la biografia di Freud, o litigavamo parlando di Bertrand Russel, che lui non amava… sta di fatto che non sono stata cresciuta come una calvinista, ma con un inno continuo alla vita, tant’è che sognai Gesù Cristo che mi diceva, mentre trascinava la croce sul sacrato di una chiesa, divertiti che la croce ci sono già io che la porto 😂 non vi sto a raccontare l’ilarità generale che suscitavano i miei deliri mistici! ma con gli anni, gli studi infiniti, gli psicoanalisti per scavare sempre più in fondo trovai qualche risposta.

Massimo Recalcati, illuminato studioso, filosofo, in questo testo traccia i confini e i parallelismi tra il sacro e il profano, tra le radici bibliche e la psicoanalisi, “la legge della parola” il vecchi testamento, la torah, cos’è la legge cosa sono le regole, la legge non è la regola, quest’ultima è sempre un impedimento anche se a fin di bene, anche se necessaria alla vita, la legge, invece, deve essere scritta nella carne e nel cuore: ce la ricordiamo tutti la storiella dell’albero della conoscenza, la prima grande trasgressione dell’uomo, accedere al “tutto”… ma procediamo con ordine: c’è Abramo, che assolutamente nei testi non si traduce con “maschio” bensì “umano, terrestre”: l’umano nella solitudine è triste perché è solo, la sua parola è abbandonata, non ha nessuno che lo ascolti, l’essere umano nella sua solitudine si spegne, la relazione dà luce alla vita; immaginiamo il movimento di Dio, si rivolge al terrestre con pietà ed inventa Eva… chi è Eva? è il nome della relazione, senza la relazione della parola l’umano muore, ed è da questo desiderio che prendiamo la famosa costola, e voilà … dobbiamo assolutamente precisare che non c’è arroganza androgina, tipica poi successivamente del mondo greco, qui, nel testo biblico, è amore, qui uno è uno e non si fa da due uno: Platone&C.

Attenzione! il Signore ci dice – Potete godere di tutto ma non del tutto- Il serpentello sussurra, Dio è egoista, vuol tenere tutto per sé, se voi ne mangerete diventerete Dei! La lusinga del serpente, è la lusinga della deificazione dell’uomo.

L’unico peccato vero è credere di essere Dio!

Pensiamo all’attualità, avere nelle mani il mondo, il potere…

Quindi quello che Recalcati ci chiarifica è che la legge porta sempre con sé l’esperienza dell’impossibile

è impossibile avere tutto

è impossibile essere tutto

è impossibile dire tutto

Ed è proprio questa impossibilità che educa al senso della legge, scolpita nella carne e nel cuore, la vera trasgressione è il desiderio di diventare Dio.

Pensiamo al popolo di babelici, ci suggerisce Recalcati, prima il testo biblico, sfidano famelicamente il potere di Dio: il popolo che conduce, con la loro torre altissima, l’assalto al cielo, è una massa che si muove, altro tema attualissimo, una massa è senza mente, non conosce la differenza, è un corpo unico, senza pensiero: un solo popolo, una sola lingua, senza pluralismi.

Dio scende dal cielo, sparpaglia il “solo popolo” divide le lingue e ci suggerisce, cuore del pensiero democratico ante litteram, che l’unica possibilità per stare insieme è imparare la necessità della traduzione, tradurre la lingua dell’altro, la nostra lingua non è la sola lingua, lo attuiamo anche nelle relazioni di coppia, che fatica!

questo è il principio primo della democrazia.

La Bibbia non è un testo religioso, la Bibbia critica aspramente gli idolatri, l’uomo religioso, mai, mai l’ateo!

Non fa sconti a nessuno: l’inizio del mondo è sangue è fallimento, non conosce fratellanza, amore, Caino e Abele, Giacobbe e Isaù, si uccidono già nel ventre materno, Giuseppe svenduto dai fratelli ai Beduini…Questo ci suggerisce che la fratellanza non è un legame di sangue, bensì una difficoltosa costruzione.

Nelle Ecclesiaste, bellissime, primordiali, crude, Coelet, il predicatore, ci dice che la morte è nel nostro destino, noi siamo un soffio, un vapore, il correre un attimo sotto il sole, bellissimo…un incidente nell’eternità, è l’inutile affannarsi dell’esistenza, il divenire converte l’essere nel nulla, fin dal primo alito siamo destinati alla fine …

Cosa ci resta?

Ed ecco che il mio profetico sogno da poco più che bimba prende corpo…

Coelet ci dice…

Mangia con gioia il tuo pane

Bevi tutto il tuo vino

In ogni momento della tua vita vestiti a festa

Né manchi olio profumato sul tuo capo

Goditi la vita con la donna che ami per tutti i giorni della tua assurda esistenza fugace

Perché è questa la tua parte nella vita, e tutto ciò che capita alle tue mani di fare fallo con decisione, perché non ci saranno più attività, più risultati, più sapienza, nell’al di là, nella fossa in cui tu stai andando.

L’appello al godimento della vita, fa pensare molto, quando Gesù disse di guardare ai nostri veri maestri, gli uccelli nei cieli, i gigli nei campi, non hanno futuro, fare di ogni oggi il tempo eterno della vita.

La Sosta

Alla volta di Cap d’Antibes, l’auto sfrecciava veloce e sicura, Aretha Franklin cantava I say a little Prajer, muti, assorti, sedotti, da ciò che li attendeva: un albergo dalla facciata rosa sbiadito, persiane e un vialone che conduceva alla plage de la Garoupe: siepi di rosmarino, aiuole fiorite, il grande cedro, le palme…poi finalmente il mare e il cielo in un unico nastro.

Celebrare l’epopea della Cote era quello che gli riusciva meglio.

Un rumore sordo e voilà né avanti né indietro, fermi! 

-Sai che c’è? Mentre tu controlli io prendo il sole-un beauty rosso come sgabello, uno svolazzante abito bianco, ed una paglia di Firenze sulla testa: mai celebrare il rito della Cote senza una paglia di Firenze; l’aria secca e profumata, il boschetto di eucaliptus faceva degnamente il suo lavoro, le cicale… incredibile quanto quel lembo di terra sembrava ancora incontaminato: no mare inquinato, no snack bar, no distributori di benzina, no ressa di bagnati, no costruzioni di cemento dai nomi altisonanti, no finti ricchi con ansia da ferie, no patatine fritte congelate, no traffico e paranoie, no clacson…poi all’improvviso, un fetore di benzina e nafta, un furgone si era ribaltato lastricando la strada con il suo carico: le famose mozzarelle di bufala della Cote! Eh, no eh, non mi potete rovinare tutto! Cuffie nelle orecchie e Bach sia, le Variazioni Goldberg: le insegue ad una ad una, sono trenta, iniziano piene di luce, poi si adombrano e si inquietano emotive e distoniche proprie come l’uomo poi risorgono e si ritrovano nella conclusione, l’ultima aria pare uguale a quella iniziale, ma non è così, siamo diversi noi non più come prima. Il sole sulla Cote è tramontato, tutto è terminato…può ripartire.

Zuleika apre gli occhi

La Grande Madre Russia è immensa! raccoglie in sé l’umanità, le religioni, i paesaggi diversi, ed è tutto così multiforme e variegato che viene spontaneo chiedersi come può essere un unico Paese…Mongoli, Caucasici, Euroasiatici, Siberiani, Baltici, Greci della Crimea, pallide donne Carcasse, turchi dal cappello di astrakan, suore ortodosse, bei visi, di un popolo che ha conosciuto la sofferenza come pochi altri.

Zuleika è essenziale, proporzionale alla sua minuta e granitica figura, perfino le parole sono parche, ma il suo pensiero è fulminante, pragmatico, acuto…armato alla sopravvivenza: a un marito-padrone, a una suocera sadica, al gelo, alle malattie, ai lutti…ci insegna che si può sopravvivere a tutto…sopravvivere…

gli occhi di Zuleika sono enormi obiettivi per una ripresa cinematografica, un affresco sulla Russia che sta divenendo Unione Sovietica, i grandi stravolgimenti della storia che riportano allo status quo, cambiano solo i Padroni, più crudeli, più arrabbiati, più spietati…

Una lettura paratattica, lucida, appassionante dove il fil rouge della protagonista funge solo per illuminare gli altri protagonisti, tratteggiati finemente e animati di una potente vita propria.

Non è un romanzo d’amore, no, lo renderebbe banale e non credo sia questo l’intento, è un romanzo storico dove date, politica, battaglie costituiscono la quinta, una quinta ingombrante e silenziosa che dialoga con ogni personaggio.

Da leggere! Bellissimo!

farfalle a Torino- Teatro Gobetti-

Formazione e mutazione viste da Emanuele Aldrovandi

Crescendo si cambia…

Ieri sera al Gobetti di Torino la prima di “Farfalle” di Emanuele Aldrovandi, incominciamo col dire che non è la storia di due donne complesse. L’autore-regista non ha la presunzione di voler raccontare qualcosa sulle donne, bensì le dinamiche universali e umane che non guardano al genere, raccontate da due donne complicate, è ben diverso.

Un pendaglio a forma di farfalla, una collana, è il procedimento metateatrale da cui si dipana l’intera faccenda: loro piccole e abbandonate, una madre suicida e un padre approfittatore, orfane contemporanee, lo usavano come gioco catartico contro la paura e la solitudine: chi maneggiava e possedeva al momento l’oggetto poteva ordinare all’altra qualsiasi cosa – ” …allora giochi”?-. Da un divertissement iniziale diviene il motore della storia inserendosi su meccanismi crudeli e cattivi.

Chiaro l’intento del regista: il tempo ci muta, ci trasforma, l’esperienza debordante della vita ci fa diventare “altro” e, in questo gioco al massacro, i sentimenti che proviamo, le persone che amiamo scivolano lentamente in un oblio…e non ce ne accorgiamo.

Fa parte della nostra vita ed esula dalla nostra volontà.

Le due sorelle cresciute e diventate adulte sono convinte ognuna della propria ragione ed è pericoloso perché arriveranno a ferirsi mortalmente; assai diverse tra loro, una più ribelle, l’altra più indipendente, a volte si sfidano per pura provocazione e, lo fanno sempre scambiandosi la collana-farfalla.

L’impianto della narrazione è classico: la commedia in un crescendo continuo conduce lo spettatore, ignaro, attraverso le miserie umane e le meschinità famigliari…la tragedia ci attende al termine e non rideremo più.

Bravissime le due protagoniste Bruna Rossi Giorgia Senesi, camaleontiche si calano da un personaggio all’altro con grande maestria.

Pubblico sorpreso e caloroso

Andate a vederlo.

a cura di Edwige Mormile

TST- Gobetti- Torino

Farfalle 28 febbraio- 5 marzo

testo e regia Emanuele Aldrovandi

Associazione teatrale autori vivi

Teatro Elfo Puccini

Emilia Romagna teatro

In collaborazione con l’Arboreto Teatro Dimora

La Corte Ospitale e Big Nose production

La famiglia aubrey- Rebecca West-Fazi Editore- recensioni-

Un romanzo, uno spaccato di un’epoca, dalle pagine scritte, si odono le voci che cinguettano, il profumo dei biscotti appena sfornati per l’ora del tè, il frusciare delle vesti, i desideri, le delusioni, non solo di fanciulle di fine ‘800,ma, il sogno di una Società alla fine, a cavallo fra due secoli.

Una famiglia che dà origine ad una vera e propria saga, è ispirata alla storia biografica dell’autrice, ma la penna sagace e selvaggia di Rebecca West la rende musicale, cinematografica, poetica…ci perdiamo ad un ceto punto, e ci pare di ascoltare il violino maldestro di Cordelia, o di vedere gli sguardi persi e preoccupati di Clare la mamma… volta a preservare le apparenze di una classe sociale in declino, e a mettere insieme il pranzo con la cena…

Un dipinto: festoso, lirico, tutto trova una collocazione gioiosa, il Natale, poverissimo e prezioso, gli abiti per le gemelle rifatti di nascosto da Clare, utilizzando, a sua volta, i suoi stessi dismessi… le ore di Piers, il papà, nello studio ad intagliare il legno  per le case delle bambole, i piccoli doni, pensati, per l’amatissima cugina Rosamund… ed intanto il pentagramma volteggia in tutta la vecchia dimora…

Isabel Fairfield, questo il vero nome di Rebecca, scrive sotto pseudonimo, grandissima scrittrice, a ragion veduta considerata fra le più grandi…un gigante della letteratura inglese, il periodare è fluidissimo, tagliente, ricco di aggettivi, dei quali tutti essenziali in un gioco continuo di sfumature caleidocopiche.

Da leggere a piccoli sorsi, per assaporarlo, e gustarlo: ogni pagina riserva una sorpresa, non di accadimenti veloci ed incalzanti, è lo slow life che impera, ma di sfumature poetiche e liriche di vita quotidiana.

in una parola – bellissimo-

L’Italia rinasce con i Bambini-Il libro della Costituzione-Arquinigo Pardo Sonda Milano-

Da leggere, da sfogliare, le illustrazioni sono a cura di Emanuele Luzzati, i fondamenta del nostro Paese, quello che tutti dovremmo  leggere, raccontata e illustrata per i nostri piccoli. Quando scopro queste perle, penso che abbiamo speranze, che ci sono genitori, educatori, intellettuali illuminati, quelli che faranno la differenza domani, che i nostri bimbi non sono così piccoli, loro apprendono e capiscono più di noi!

Allora, avremo una speranza!

La spina dorsale della nostra Costituzione raccontata ai bambini, che incomincino a sentir parlare di iniquità, di giustizia, di tutela, per preservarli ma anche per educarli ai valori non solo di piccoli cittadini, ma di essere umani, la ricostruzione della nostra Società parte da loro, gli fornirà anticorpi, vaccini,  che li preserverà domani dall’essere raggirati, presi in giro, penseranno con la loro testa ed agiranno con consapevolezza!

Il messaggio è comprensibile ma non semplificato, i bambini capiscono, spiega il senso della cittadinanza, e quanto questo concetto appartenga anche a loro.

Dei diritti che hanno, per poterli chiedere a piene mani, un libro che dovrebbe essere richiesto da ogni insegnante ed entrare in ogni classe, e letto a brandelli, raccontato, sfogliato… Parliamo ai nostri bambini, raccontiamogli che sono dei cittadini.

 

Se Dio c’è- o il discernimento nell’epoca dei follower-

Dal Paleolitico ad oggi, se Dio c’è, l’uomo se lo chiede da sempre, anche i laici, i cosiddetti uomini di ragione, viviamo tutti noi il senso del mistero, o come io amo chiamarlo il senso del religioso…l’uomo, anche solo per la paura della morte, non può rinunciare al senso dell’Assoluto, Wittgenstein più o meno diceva -chiamo Dio il senso della vita- Sant’Agostino nelle Confessioni- è colui che è nel più profondo di me stesso, e allo stesso tempo il più lontano dalle mie paure-

La religione, quindi, non un insieme di pratiche, liturgie, ma una visione…una visione del mondo, il senso alla vita alla morte.

Non è neanche vana curiosità intellettuale, ma è qualcosa di drammatico che entra in gioco solo se ognuno di noi è pronto ad affrontare il travaglio umano, non è neanche il negativo, il male, mi vengono in mente i pastori itineranti, i padri gesuiti col memento mori, altrettanto non è lo stolto stupore di fronte alla gioia, al positivo, al senso della bellezza o del sublime,o, ancora gli esistenzialisti del ‘900, soverchiati dal male di vivere…no…non è questo, ma è l’incontro-scontro perpetuo fra questi aspetti, lì sta il mistero il religioso.

La realtà non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi si pone il senso della propria vita con serietà e colui che ciò non importa, adagiato su ciò sarà immutato.

Qui si pone il discernimento, parolone…dis-cernere, dis-separare, cernere, scegliere…oggi noi schiavi del popolarismo attraverso i follower…dobbiamo discernere: orientarci attraverso la separazione e la scelta, discernimento allo smarrimento contemporaneo,noi tutti che esistiamo in relazione non a noi stessi ma alla società.

che cos’è il discernimento se non un “sentire” di natura etica e misterica, di una cultura storico-religiosa per poter decidere?

ma il discernimento ha anche e soprattutto una valenza laica, che risponde al famoso imperativo categorico, gli imperativi della nostra coscienza, quel comando interiore, la vocina che spieghiamo ai nostri bambini, che determinano la nostra responsabilità verso il prossimo, ma anche il senso stesso della nostra dignità.

Ed allora, fra le pagine di Zavoli scorgo” Ama il prossimo tuo come te stesso” e che basterebbe rileggerci ogni tanto i Dieci Comandamenti per ricordaci dov’è Dio, e dove siamo noi.

 

I bambini ci guardano…rispettiamoli!-consigliato a tutti gli insegnanti primarie-

La scuola dovrebbe essere un pò meglio della Società, altrimenti perché la sua esistenza?

L’errore più comune, estremamente diffuso è pensare che non capiscano! il dialogo è insegnamento, con  piccoli si può parlare di tutto, sono ignoranti – da ignoro- non deficienti, abbiamo l’obbligo di rispettare la loro intelligenza: sì alla storia alla geografia, ma anche di società, di problemi del mondo, di diversità etniche, culturali.

Lorenzoni, esemplare maestro elementare, ce lo spiega in un saggio frutto delle sue esperienze sul “campo”, ama Gandhi, ama Erodoto, per il rispetto da re-spicio- guardare a distanza, che ha degli altri, e la comprensione del “diverso”, sì Erodoto raccontato a bambini delle elementari.

Che errore non dialogare con i bambini di aspetti importanti, ed è grave pensare che non capiscano.

Il mestiere del maestro elementare potrebbe essere il più bello al mondo: oggi avvilito da logiche politiche ed economiche, una pedagogia travolta dalle mode, da manipolazioni.

Ridare senso alla scuola questo è il testamento spirituale che Franco Lorenzoni ci lascia in questo saggio.

I bambini ci guardano…

Franco Lorenzoni

Sellerio

 

Identititas o la consapevolezza di sè…

Oggi 5 marzo inauguro la mia piccola rubrica, il libri della settimana di ZetaLaFormica…nasce dalla ricerca su periodici preposti, e raccolti secondo la mia sensibilità, letti per voi, perché penso che nel piacere di leggere si compia un’esperienza esistenziale importantissima: si ascolta se stessi e a volte ci si comprende…prima si incontra un autore, ma poi, quell’autore, troverà noi.

Quando noi incontriamo un autore l’esperienza è di raccolta di dati, informazioni, fatti, sensazioni, ma quando accade in un secondo momento il contrario, lui incontra il lettore, si dipanano i misteri, si fugano alcuni dubbi, e la realtà ottiene qualche risposta!

la lettura si svolge su un doppio registro circolare.

Ecco un saggio che mi ha molto affascinato, per il respiro ampio che abbraccia:

-Dove Dio respira di nascosto- Paolo Alliata- Ponte delle Grazie-Milano

La letteratura espediente letterario e speculativo per s-velare Dio, mai manifesto ma tanto presente quanto più nascosto, il respiro di Dio accompagna la narrazione da Rousseau a Oscar Wilde, ed ancora Buzzati, Rilke…le Elegie Duinesi, il Riccardo III di Shakespeare:tutto ciò che incatena l’uomo al passato, all’odio, al risentimento, un’autoflagellazione che impedisce di procedere, liberi, nella vita…ecco cosa serve il perdono, a se stessi.

Una visione spirituale e panteista accompagna tutto il saggio, una passeggiata nei boschi della letteratura, un viaggio interiore, che aiuta a diventare se stessi, a rispondere al proprio daimon, la chiamata della vita.

-Gerti, Bobi, Montale&C.- Waltraud Fischer vita di un’austriaca a Trieste- Diabasis, Parma-

Spregiudicata, libera, modernissima come solo le donne di inizio secolo furono, partecipò alla vita intellettuale triestina della sua epoca, tanto per capirci, il salotto di Svevo la libreria di Saba,  nei caffè si chiacchierava di psicoanalisi, quantum mutati ab illis, oggi nei caffè ci selfiamo!