La Sosta

Alla volta di Cap d’Antibes, l’auto sfrecciava veloce e sicura, Aretha Franklin cantava I say a little Prajer, muti, assorti, sedotti, da ciò che li attendeva: un albergo dalla facciata rosa sbiadito, persiane e un vialone che conduceva alla plage de la Garoupe: siepi di rosmarino, aiuole fiorite, il grande cedro, le palme…poi finalmente il mare e il cielo in un unico nastro.

Celebrare l’epopea della Cote era quello che gli riusciva meglio.

Un rumore sordo e voilà né avanti né indietro, fermi! 

-Sai che c’è? Mentre tu controlli io prendo il sole-un beauty rosso come sgabello, uno svolazzante abito bianco, ed una paglia di Firenze sulla testa: mai celebrare il rito della Cote senza una paglia di Firenze; l’aria secca e profumata, il boschetto di eucaliptus faceva degnamente il suo lavoro, le cicale… incredibile quanto quel lembo di terra sembrava ancora incontaminato: no mare inquinato, no snack bar, no distributori di benzina, no ressa di bagnati, no costruzioni di cemento dai nomi altisonanti, no finti ricchi con ansia da ferie, no patatine fritte congelate, no traffico e paranoie, no clacson…poi all’improvviso, un fetore di benzina e nafta, un furgone si era ribaltato lastricando la strada con il suo carico: le famose mozzarelle di bufala della Cote! Eh, no eh, non mi potete rovinare tutto! Cuffie nelle orecchie e Bach sia, le Variazioni Goldberg: le insegue ad una ad una, sono trenta, iniziano piene di luce, poi si adombrano e si inquietano emotive e distoniche proprie come l’uomo poi risorgono e si ritrovano nella conclusione, l’ultima aria pare uguale a quella iniziale, ma non è così, siamo diversi noi non più come prima. Il sole sulla Cote è tramontato, tutto è terminato…può ripartire.

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I libri che mi hanno cambiato la vita

Anche alle cinque del mattino  rientravo da ogni dove  c’era sempre qualcuno ad aspettarmi accanto al letto…amici che mi hanno consolata, aiutata, a volte, altre mi hanno dato delle risposte di più ampio respiro, sui perché dell’esistenza, sull’uomo e le sue piccolezze o sulle sue meravigliose grandezze.

Mai,ancora adesso, sempre di ritorno da ogni dove, nonostante la mia bimba di tre anni, mi addormento senza una paginetta, affinché sempre, la giornata non sia trascorsa invano.

Ecco i libri che mi sono stati più vicino e mi hanno formato come individuo (termine che non appartiene né all’uomo né alla donna)  e che tutti dovrebbero leggere per capire chi siamo in relazione agli altri, e a se stessi:

“La montagna incantata” di Paul Thomas Mann, per farci capire che i malati siamo noi, quelli che viviamo in fondo alla valle, non loro…

“I Buddenbrook”,sempre dello stesso autore, per farci ricordare sempre le nostre origini, da dove arriviamo e la storia della nostra famiglia, senza la quale non saremmo noi.

“Le Memorie di Adriano”, Marguerite Yourcenar,i barbari di ieri sono i romani di oggi, ed allora le nostre menti e i nostri cuori saranno aperti e prodighi verso chi arriva, disperato,da lontano.

“Il Gattopardo”, Tomasi Lanza di Lampedusa, tutto deve cambiare per tornare ad essere com’era, merita un’ampia riflessione sul nostro paese.

“Le memorie dal sottosuolo”,Fëdor Michajlovič Dostoevskij, per ricordarci che dobbiamo pensare, e non incanalarci come pecore, la nascente piccola borghesia dai “colletti bianchi”.

“La Nausea “Sartre…la  nausea per le cose in sé e per sé…che si riflettono inesorabilmente nell’esistenza dell’individuo, gettandolo in uno stato di prostrazione, anche qui le imbastiture borghesi e i loro involucri fatti di …”ismi”…

“Guerra e Pace”,Lev Nikolàevič Tolstòj, mi ha insegnato, come soleva spesso recitare, “non mentire mai a te stesso”, è il primo compito che ci dobbiamo.

“Fedro”,Platone, mi ha insegnato ad amare,o meglio, a riconoscere l’amore, meraviglioso il discorso delle due anime che si riconoscono e si cercano senza ricordarsi chi sono.

Ecco, tantissimi sono i libri che mi hanno allevata, e provo emozione a ricordarli, come se fossero creature ed angeli, ecco… come non ricordare, adesso che vi scrivo, le Elegie Duinesi di Rilke,” chi m’udrebbe, se pur urlassi tra le gerarchie celesti”… perdonate l’imprecisione, la cito a memoria…

Adesso sono mamma di una bimba piccola, e vorrei tanto trasmetterle tutto questo amore per i nostri amici immortali, poco per volta, piano piano, come faceva la mia nonna quando mi accompagnava al mercatino ad acquistare e scambiare in prestito i libri per la lettura settimanale.

Con il cuore

Edwige Mormile

Era il tempo delle fragole

Quando pioveva la pietra assumeva quel colore sbiancato e slavato,tutto era più terso e non solo l’aria,dalle piante si disperdeva il profumo dei gelsomini,dei lillà,della pietra bagnata, delle foglie spicciate sulla pietra, era bello uscire fuori dopo quei temporali primaverili,annunciavano l’estate.

Era il tempo delle fragole.

Il cielo blu cobalto, era striato dalle rondini, che in quella stagione dell’anno migravano, si rincorrevano,urlavano…

Lui, avrebbe voluto fare un lavoro per cui poteva camminare, perché passeggiando quel cielo sarebbe stato sempre lì, sopra la sua testa, quel cielo che così di rado era nel suo cuore..

E poi arrivava, liberatoria e carica di speranza, la fine di quella giornata,lo strappo senza troppo dolore, e di nuovo le rondini…il cielo,la malinconia,magico regalo di una vita piena di vita..ed allora il cielo arrivava nel cuore,arrivava anche il sonno, per terra,sotto il profumo dei gelsomini e delle zagare, l’abbandono era grande e lui si addormentava come un bambino stanco dei giochi diurni…

Era di nuovo il tempo delle fragole.

E’ strano come gli oggetti riescano a trattenere il divenire, dando di conseguenza la certezza del loro stato, che pensieri…con un occhio semiaperto, guarda la ciotola delle erbe aromatiche, e le api che non abbandonano la lavanda, la stanza, immersa nella penombra, un limbo di pace, e piedi nudi che cercano la frescura del pavimento, sì era il tempo in cui si poteva avere tempo ed il riciclo dell’esistenza lontano, il campanile scandisce l’Angelus, assordando tutti i vicoli intorno, e quando passeggiava fra quei

La gattara… che personaggio, provvedeva a loro, il medico le aveva detto che doveva camminare, per le sue gambe stanche e malandate, e lei lo aveva preso in parola, camminava.. dietro tutti i gatti del borgo, vecchia, curva, con una crocchia di capelli che scappavano da tutte le parti miagolava anche lei… portando cibo, che sporcava, secondo i benpensanti del borgo, ma lei continuava…a provvedere ai suoi mici..

E’ passato molto tempo, i gatti non ci sono più, neanche la gattara…neanche i campanili, e neanche il cielo…

 

borghi
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