Amano la luce mai il sole diretto, e stanno veramente bene nei nostri appartamenti nella stagione invernale, ma le temperature scorrette e un’esposizione sbagliata fa sì che ci diano non pochi problemi. Quindi ho pensato, di fornirvi uno schema della giusta“manutenzione“ di queste inquietanti ed affascinanti piante, eccolo!
Fattore luce non adeguato manifesta i seguenti danni alle piante:
-formazione di germogli sottili e deboli
-mancata formazione di gemma fiorale
-accartocciamento delle foglie
Fattore luce troppo intenso:
-Ingiallimento e appassimento delle foglie
-comparsa anomala coloratura rossastra sulle foglie
-decolorazione e deformazione delle foglie.
Fattore umidità:
-Ingiallimento delle foglie
-Degradazione dei pseudo bulbi
-fuoriuscita delle radici dal vaso Dipendono in genere da un’eccessiva innaffiatura, anche con acqua non a temperatura ambiente o ricca di cloro.
Le radici sono indice della salute della pianta : il colore deve essere di un bel verde brillante: buona luce e saggia innaffiatura.
“E’ primavera svegliatevi bambine” Le Orchidee tra mito e storia
“Noi siamo Orchidee … ci dicono … ed abbiamo voglia di rifiorire … ma sapete chi siamo? … eccoci” Orchis era un bellissimo giovane greco, che si dava molto da fare con le donne! Era nato, come d’abitudine a quei tempi, da una ninfa e da un satiro, un po’ pieno di sé nulla rispettava e non c’era fanciulla di bell’aspetto che non cadesse fra le sue grinfie!
Quando Bacco in persona lo invitò ad uno dei suoi sontuosi e rinomati banchetti una delle sue Sacerdotesse fu costretta a subire le sue attenzioni …. commettendo un grave sacrilegio, Orchis pensò di riuscire a sottrarsi alla vendetta degli Dei, in particolare alla potentissima Moira, che puniva gli abusi derivati dai deliri onnipotenza e lo diede in pasto alle belve feroci.
Il fanciullo era veramente bello, e questi nostri Dei, clementi e vendicativi allo stesso tempo, non vollero che fosse dimenticato, e fecero in modo che dai suoi resti nascesse una piantina, che riproducesse nella parte sotterranea, proprio le sue appendici anatomiche maschili,causa di cotanta fine!
Spuntò così la prima orchidea.
E’ da relativamente poco che amo le orchidee, personalmente le ho trovate sempre un po’ inquietanti, forse per il loro aspetto, tranne le phalenopsis, quelle che più frequentemente reperiamo nei negozi è che non a caso sono le più commerciali, o forse perché sono simbiotiche, però è certo che nelle nostre case sono delle vere principesse: in collezione, raggruppate per colore, o per vasi la fanno veramente da padrone negli angoli più disparati delle nostre abitazioni, e credo che forse proprio per questo nelle mie case ci sono sempre state: inizia per loro, adesso la stagione della ripresa, fino ad adesso le abbiamo viste fare capolino con le loro foglie verdi prive di infiorescenze, ma complice lo sbalzo di temperatura, possiamo forzare la loro fioritura: appena passate le gelate notturne potete provare ad alternare la loro esposizione tra fuori e dentro, la differenza termica le farà rifiorire, anche se non generose, non è una pianta generosa, saranno notevolmente durature. Sull’orchidea tantissimo si è scritto, e tantissimo si è immaginato, è una pianta veramente “strana”, come altrettanto strani sono i personaggi a cui si accompagnano! Ricordate la serra di Nero Wolfe… ?
Un personaggio così, ramingo fra vivai particolari l’ho veramente incontrato: la sua vita è la sua serra e non immaginate neanche cosa ho visto: le orchidee raggiungevano due metri da terra al soffitto della serra, sembravano essere state oggetto di modificazioni genetiche, altre custodite come gemme preziose aspettavano di rifiorire ogni dieci anni, altre ancora erano talmente piccole da risultare quasi invisibili! Il “papà” di queste creature, schivo e riservato, è invitato ad esporre in tutto il mondo, e vive per loro, folgorato come sulla via di Damasco, anni fa lasciò il suo lavoro, tutt’altro, per abbracciare questa scelta isolandosi completamente dal mondo! Chissà se prima o poi mi rilascerà un’intervista, e ,vedrete che Nero Wolfe è tra di noi!
E’ giunto il momento di salutarci ma vi prometto che al prossimo appuntamento vi svelo tutti i “trucchetti”(da giardiniere) per averle sempre bellissime…
Il percorso proposto in occasione della visita alla reggia di Portici, è senza dubbio molto affascinante, e non solo perché trattasi di una bella passeggiata nel parco poco conosciuto di questa residenza Borbonica ed il suo relativo orto botanico, ma perché butta lì, quasi per caso, tematiche come il Giardino segreto, il Bosco, l’Orto botanico …. ebbene siete pronti? Perché è un vero e proprio viaggio, attraverso millenni di storia: innanzi tutto ricordatevi della reggia di Versailles, e tenetela ben presente, siamo nel 1662, e da lì in poi ogni parco, giardino, residenza non fu più a prescindere da essa … divennero simbolo di potere,emblema della sovranità sulla natura e sul mondo, è così fu anche per la bellissima reggia di Portici, 1738, ed il suo parco.
Giardini di Versailles
I giardini settecenteschi, la Reggia di Portici, sono la summa e l’evoluzione dei giardini Rinascimentali, passando attraverso i simboli dei giardini medievali, il fasto e l’opulenza dei parchi barocchi che li hanno preceduti, per approdare, infine, alla visione paesaggistica e romantica dettata dalla democratica Inghilterra. Vedrete allora inseguirsi, assi prospettici, elementi per definire lo spazio, per esempio il viale centrale che conduce alla Reggia, perfettamente integrato con la natura circostante, ed ancora le fontane, le statue … ma questi elementi vengono talmente assorbiti che si liberano per ritornare alla Natura, apparentemente selvaggia, dando la sensazione di un finto spettinato, ,malinconico, ameno, ma il discorso ci porterebbe troppo lontano…ed allora, guardate con occhi particolari questo parco, e quando visiterete il Giardino Segreto, ricordatevi che trae origine dall’Hortus Conclusus Medievale: la rappresentazione in terra del Paradiso, laicizzato nel ‘500, legato al suo aspetto erotico dell’amor cortese, era una vera e propria “stanza verde”, dove il Principe in gran riservatezza si ritirava, zona privata e protetta per dedicarsi ai propri svaghi … In ultimo ma non tale l’orto botanico: creato nel 1872 risponde ai dettami dell’epoca, strada dotta, luogo di raccolta di piante rare provenienti da ogni dove, ma sapete che cosa rappresentava circa 1000 anni prima … ma questa è un’altra storia da narrare … che merita un momento a sé … al prossimo appuntamento
Andando a passeggio per Napoli in una assolata giornata di giugno, mi sono imbattuta nel Chiostro di Santa Chiara, tralasciando tutto il resto, mi sono precipitata all’ingresso: lostupore e la pace è stato un tutt’uno, ma al di là della bellezza del maiolicatoNapoletano, il mio sguardo è stato catturato dalle aiuole, ed in un attimo secoli si sono accavallati, intrecciati, confusi … siamo nel I sec. A.C. al sorgere dei primi Horti, vere e proprie aree verdi all’interno delle Ville, luoghi di piacere dove i ricchi Latini si rifugiavano per sfuggire allo stress quotidiano dei grandi centri urbani, e provate a immaginare, qualcosa molto vicino alla meraviglia di Santa Chiara, passeggiavano sotto i porticati affrescati, leggevano poesie, chiacchieravano di arte, ma ciò non sarebbe stato possibile senza quelle famose aiuole che vedete: doveva essere un percorso dei sensi, che passava dall’olfatto, ed allora lode alle aromatiche ed alle rose antiche, dal tatto, lode agli alberi da frutto, dal sapore, lode agli ortaggi, e per ultimo la vista, lode ai colori … e proprio qui fra una rosa ed un cavolo dissertavano Cicerone, Giovenale, alla ricerca di un benessere psico-intellettuale che diede origine al famoso “Otium”latino … era il tempo in cui pensare era un modo di vivere, ed il filosofo era anche psicoterapeuta.
Da quel momento in poi gli horti (al plurale vuol dire proprio giardino) divennero il lascito dei più grandi giardinieri e in seguito paesaggisti, perché qualsiasi manifestazione della Natura, anche attraverso la mano dell’uomo, non deve solo funzionare, ma emozionare.
Spero la prossima volta che mi recherò al Chiostro di Santa Chiara, di trovare qualcuno che “Otia”, per ritemprarsi in una pausa pranzo, per mettere a fuoco un pensiero, o solo per accarezzare qualche foglia di salvia…
Fino ad adesso vi ho raccontato un pò delle rose antiche, del loro affascinante ed evocativo profumo,ma dove trovarle? fino alla Toscana non è un problema… conosciute e riconosciute avete l’imbarazzo della scelta, ma ad un certo punto dalle Marche in giù ..”.haimé “,confidando questo pensiero ad un’amica, come il destino spesso agisce, la scopro appassionata “giardiniera” e innamorata delle rose, grazie a lei in uno sperduto paese dell’Irpinia, Domicella, ho conosciuto Il Poggio delle Rose e Carmine Palmese, e la sua storia ha l’evolversi che solo il caso guida: appassionato di giardini, folgorato da un articolo letto decide di dedicare la sua vita alla coltivazione di rose antiche e storiche, non vi narro la magia del luogo, oggetti di terracotta che sporgono da cespugli, lanterne appese in ogni dove, insomma avremmo potuto trovarci tranquillamente in un’ambientazione del nord Europa, e proprio il Nord Europa;Londra, conferisce a Carmine Palmese ed alla Regione Campania la medaglia d’oro del premio Chelsea, uno dei più ambiti da noi giardinieri e progettisti…. lì troverete rose storiche ed anche le piante madri…è un luogo incantevole, e, da poco divenuto anche agriturismo,potrete gustare delizie alle rose e tantissime altre ghiottonerie…in un luogo non luogo…ode ai sapori,ai profumi,ai colori…….
Quando pensiamo ad una casa, la nostra casa, immaginiamo quella legata al sogno della vita, che riveste tutte le personali aspettative accumulate nel tempo, un po’ come la raccolta dei “reperti” dei nostri viaggi, ordinati e conservati nel luogo più sacro dello spazio che viviamo. Pensiamo al nostro ambiente vitale come al luogo dell’immaginario, perfetto, perfettamente congeniato e congeniale a noi, dove tutti gli elementi giustapposti siano proprio lì e non in un’altra parte, prima nello spazio della mente e poi in quello fisico della realtà. Se ci pensiamo bene, però, il nostro vivere non è uno stadio permanente, sempre uguale , fatto di sequenze diapositive, in cui possa regnare una dimensione statica, che colga la bellezza dell’immagine. La nostra casa è un cortometraggio quotidiano, in cui siamo a volte protagonisti a volte scenografia, non è una sequenza di immagini fotografiche. In questi termini, la casa è un luogo a stadi infiniti di evoluzione, mai uguale nel tempo; uno spazio in trasformazione, fedele al nostro essere: uno specchio che riproduce, in forma materiale, la nostra interiorità. Quest’ultima varia, si evolve, a volte regredisce, altre cresce, si sposta, si muove col tempo. Allo stesso modo, lo spazio di ognuno diventa il protagonista della sua stessa dinamica fisica. Pensare ad un luogo infinito è un passo in più, immaginarlo come parte di noi, in continuo ciclo vitale è un’evoluzione. Gli oggetti mutano nel tempo la sagoma della loro forma, il colore, addirittura le posizioni, rispetto a quelle originali, di micro spostamenti, o magari si rimpiccioliscono, ingrandiscono, aumentano, diminuiscono, si trasformano. Oggi uno spazio risulta vuoto, domani potrebbe diventare pieno. Basterebbe pensarlo non finito, ma infinito. Se provassimo ad ingrandire la nostra lente focale per immaginare dimensioni meno contenute, ecco che la casa sarebbe aperta, spaziosa, arieggiata, più e più a lungo assolata. Lo spazio urbano non è, forse, la nostra casa, il luogo di vita quotidiano che calpestiamo, sfioriamo, guardiamo, e “profumiamo”? E’ l’alcova del nostro immaginario di mondo, la raccolta di un immaginario collettivo. E’ il sogno di un mondo perfetto in cui vorremmo gravitare, fatto di verde , tanto verde, in mezzo al grigio un po’ colorato. Un contesto in cui il verde è verde ed è anche ordinato, perché pensiamo che tutte quelle geometrie, disegnate in terra incolta, ci sembrino presuntuose ed irriverenti. A dispetto di ciò, muovo uno spunto di riflessione, facendo un passo oltre, verso l’ignoto, al di là possibile, ma non impossibile; vorrei chiamare questi spazi di casa, estesi ed aperti, Spazi in movimento, citando la celebre definizione “Giardini in movimento; il Terzo paesaggio” del famoso Paesaggista franceseGille Clèment che ha rivoluzionato “l’idea classica di giardino, ponendo l’attenzione sulla ‘friche’, ovvero l’incolto”. Ho riflettuto a lungo su un’idea di spazio che abbia tale antitesi immaginativa ed ipotesi di fattibilità. Credo che sia possibile intravvedere uno stadio infinito dei luoghi su grande scala; quello dei luoghi verdi in cui non regni una regola definita, a priori e fissa, od una modalità esecutiva e di sviluppo precisa, se non quella della spontaneità indotta nel tempo. Mi piace immaginare che in uno spazio urbano, costellato da figure geometriche segnate, su cui gli edifici circostanti proiettino le loro geometrie d’ombra, lo sviluppo del verde sia naturale e naturalmente sviluppato, senza un determinante e né deterministico intervento umano, se non quello che possa prevenire lo stato di degrado. Proviamo a pensare ad un’estetica di questi spazi di risulta che non sia convenzionale, ma spontanea e comunque vivibile. Una dimensione avanzata in cui si sviluppi il concetto di un nuovo riuso dello spazio, proprio perché non è definito, ma è una proposta; non è una risposta di spazio, ma è suscitare una domanda per ottenere risposte, differenti e distribuite nel tempo. Una dimensione futuristica del verde in cui esso stesso possa proliferare nella sua ricca biodiversità, definendo spontaneamente e con sensibile contributo umano, schemi di organizzazione riconoscibili in ogni stagione. Porzioni di questi, per esempio, potrebbero esprimersi autonomamente, come simbolo estetico di natura incontrollata, di coronamento; una sorta di decalogo spontaneo del verde, un fitto campionario naturale. Il significato di questo tipo di approccio non canonico e lontano allo spirito comune, è legato alla possibilità di offrire il senso del tempo allo spazio, di introdurre lo spazio-tempo come “palcoscenico” di un fenomeno fisico, offrendo ad esso qualità estetica, delicatezza, semi-permanenza, trasformazione. Attribuire allo spazio il senso del tempo. Offrire al tempo una permeabilità nello spazio. Assisteremmo ad evoluzioni del verde, a prospettive, via via, differenti, a trasformazioni dei luoghi, in archi temporali più o meno ristretti o amplificati, ad abbandoni che non sono abbandono e né degrado, ad una natura che produce “incolto” perché s’impossessa di uno spazio possibile, trasformandolo in maniera possibile, grazie ad un lieve contributo della mano dell’uomo, ad una natura che produce vero incontro, incontro anche con sé stessi, più intimistico. Un luogo infinito che parli di mondi fantastici ed inconsci, metafora del nostro interiore, dalla nostra casa. Potremmo rischiare di sentirci così veramente e finalmente accolti.
Buongiorno a tutti, stiamo lavorando per voi e per noi, e devo ringraziare Alessandra Fanì che come sempre abbraccia con entusiasmo i progetti che le propongo per una visione unitaria che abbiamo della vita: la bellezza. quella architettonica, quella del paesaggio,ma, soprattutto quella dell’anima…Sì perchè questo andiamo cercando, pellegrine e raminghe, la cerchiamo attraverso quello che circonda, attraverso quello che proviamo, e da mamme, per i nostri ed i vostri bambini… Stiamo cercando di proporvi le eccellenze, ospiti che abbiano oltre le competenze, indiscutibili, il cuore, perchè attraverso il cuore si aprono scenari inimmaginabili. Stiamo mettendo in campo energie, lavoro, immaginazione, sogno per creare un blog che proponga, faccia riflettere e dia la possibilità a chi lo desidera di provare ad immaginare scenari diversi. Ricordo anni fa quando mi chiamarono per una progettazione, il cliente pieno di remore, mi disse, ” Sa ho un piccolo balconcino non so cosa si possa fare.”.. bhe! ricordo ancora quando alla fine del lavoro, qualche giorno dopo mi telefonò e mi disse :”Non so come ringraziarla per aver insistito a farla fare… il mattino mi sveglio e quello che vedo è una schermata verde, non più il balcone di fronte, e che bello quel piccolo tavolino per bere un caffè ad inizio giornata”… questa è la bellezza del cuore, l’unico strumento per vivere meglio.
Accetta quello che la vita gli dà in una maniera molto complessa: odia litigare,lo stress,ed anche un pò lavorare..,però lo di disgusta la pigrizia e l’oziosità, è soave e sa cedere, è capace di sacrifici, di molti talenti ma non così sufficientemente tenace per sfruttarli, un pò lamentoso geloso e leale
Ingredienti: 0,2 hg di petali, 1 kg di zucchero,1 limone,1 hg di acqua
Mettere i petali in un recipiente insieme allo zucchero, limone(succo) e acqua si mescolano gli ingredienti e si frullano con un frullatore ad immersione fino a ridurre il composto in modo fluido. Si mette sul fuoco e si porta ad ebollizione dopo circa mezz’ora si toglie dal fuoco, si versa in vasetti, si capovolgono e una volta raffreddati si ripongono in luogo fresco
P.S. una volta aperti in frigorifero
Una delle varietà di rosa adatte alla trasformazione è una delle mie rose preferite “La chapeau de Napoléon” …bellissima e profumatissima… presto ve la racconterò !
Mi sto accingendo a raccontarvi di come si coltivano le Rose antiche, e mi chiedevo come farlo, ossia sono così semplici da tenere in buona salute e così poco bisognose di manutenzione che bisogna veramente sfatare il mito della difficoltà della rosa: innanzi tutto le rose antiche sono così definite fino più o meno a una data convenzionale che si posta attorno al 1950,(non accendiamo diatribe perchè è estremamente mobile e di parecchio la convenzione della data 🙂 ) ma non è certamente una data che connota o meno una rosa!
Le rose antiche sono tali per il loro inconfondibile profumo, sì sì proprio quello che ricordate, quello che Proust definirebbe della “memoria involontaria” , di giardini un pò abbandonati, intricati, misteriosi, quelle rose che trovate avvinghiate attorno ad un tronco di una vecchia quercia, o ad un melo… oppure addossate a dei muretti a “secco” adesso avete presente? il ricordo?
Non hanno bisogno di molto: di pulizia, di togliere il secco ed il morto…di essere posizionate in zone un poco arieggiate, per scongiurare “muffe” l’oidio, il così detto mal bianco, un terreno non grasso, io consiglio sempre di mescolare un terreno con la pomice, ottimo drenante, ricordarsi sempre di togliere le fioriture passite, e la regola aurea della potatura dei rami con la gemma all’interno, serve solo per non avere cespugli intricati, ma non potate assolutamente le rose antiche ne pregiudichereste le successive fioriture…e a proposito di fioriture non sono mai assai rifiorenti, ma alcune specie, di cui in un altro appuntamento vi racconterò, potranno, sicuramente soddisfare la vostra vista e soprattutto l’olfatto 😉
Se dovessero essere prese di mira dai nostri amati afidi, prima di soffocare le poverette di insetticidi, lavatele, sì proprio così, prendete una pompa e con un getto generoso, togliete gli animaletti, dopo di ché, una volta asciutte potete procedere con insetticidi tradizionali, io personalmente uso il piretro, scelta ecologicamente corretta; ricordate solo di somministrarlo all’imbrunire, per evitare che con la luce del sole perda di efficacia. Un trattamento assolutamente preventivo è lo zolfo, nelle quantità e modalità prescritte sulle somministrazioni.Ricordate di darlo in primavera prima della vera e propria ricrescita fogliare, sui rami ed un pò alla radice apicale, entra nel sistema linfatico della pianta,previene e rafforza, per tutto ciò che attiene le varie ruggini, ticchiolatura…e poi il concime…..le bucce delle banane sono miracolose… parola di giardiniere, ricchissime di potassio e magnesio di cui le nostre rose sono veramente ghiotte !!!!