La casa, il giardino, riflessi in un gioco di specchi

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Le metafore sono difficili da abitare ma il giardino con la sua casa proprio di metafora si tratta, il gioco del fuori, il gioco del dentro, il gioco della vita….. ci immaginiamo tutto l’anno il momento in cui una tazza di caffè ci aspetta su un tavolino, lo preferiremmo nella dolcezza della primavera tiepida, quando il trachelospermum sta fiorendo per intenderci, ad inebriarci del suo stordente profumo, e ci piacerebbe anche un giornale,stancamente adagiato su una sdraio, giornale che mai leggeremo, ma lo immaginiamo, lo immaginiamo quando stiamo preparando tutto lo scenario per gustarlo dopo, e sapete perchè mai lo leggeremo? Perchè staremo ammirando l’opera monumentale del nostro giardino o terrazzo o balcone che sia…frutto di una enorme fatica per renderlo bello,profumato, fintamente in disordine..e tutto il nostro lavoro varrà le pena,alla fine, per quel meraviglioso momento, perchè di pochi momenti si tratta…quando l’ombrellone bianco di tela sarà aperto, le sdraio pronte per abbracciarci, il tavolo al centro un bel vaso forse di campanule, a lato ilvassoio con il caffè, in sottofondo io amo Mozart….nessuna foglia per terra! o fiori appassiti non tolti…tutto pronto! per poi ricominciare da capo …Ora siccome una casa ognuno la riempie di feticci personali a seconda di come si immagina ma mai di com’è il nostro “dentro” non cambia, ed allora indefessi aspettiamo il momento quando da una vetrata vedremo il davanzale o l’erba ricoperta di neve, quando i rami spogli e nodosi faranno bella mostra di sè come regali sculture naturali, quando dei comuni ciclamini tireranno sù il “capino” colorando i grigi, freddi, inverni, oppure il tepore di un divano in una uggiosa e piovosa giornata di fine autunno, quelle meravigliose ore quando non possiamo fare a meno di sfornare una torta o dei biscotti, mentre ammiriamo il nostro “fuori” curato e in ordine, aspettando le fioriture degli ellebori, o le allegre bacche degli ilex o delle pyrecanthe…e sempre lì, fedelissima ed accogliente la nostra amata tazza di caffè….

Il giardino cura l’anima

Quante volte nella nostra vita avremmo voluto gettare abiti che mai più avremmo messo e pur sapendolo, imperterriti li abbiamo conservati, altre volte, avremmo voluto gettare pensieri inutili, vite inutili….ma ce li siamo tenuti stretti, conservati gelosamente, perché ? Forse ci sarebbero tornati utili!

Il giardino con le sue leggi ferree intransigenti ci mette di fronte alla morte, ad un investimento emotivo fallito, ed altre volte ci spiattella in faccia la vita, quella vera, quella che va avanti a prescindere da tutto, dagli inverni sotto zero, dalle calure terribili, e quando tutto sembra finito, la prepotenza di una gemma spacca un tronco, con la sua tenerezza vuole vivere, è uno spettacolo emozionante, ed ancora adesso, dopo anni che vango, interro, poto, mi commuove …

Il Giardino cura l’anima, ci insegna i cicli della vita-morte-vita,ci insegna a potare il vecchio,il malato…tra le creature umane e i giardini vi è un reciproco dare e ricevere su piani diversi, sono energie che fluiscono, aspettative, sospensione di pensieri, e spossati dalle fatiche fisiche ci dimentichiamo o trasformiamo le contrarietà che ci tormentano, ed allora mentre tagliamo l’erba, raccogliamo le foglie secche,estirpiamo le erbacce, ritorniamo da un altrove e ritroviamo la misura delle cose e della vita.

Edwige Mormile

la vostra psico-terra-peuta

la quiete
la quiete

Il Bosco e i “Nostri abitanti”

Vi ho lasciato la scorsa settimana raminghi nel bosco, un bosco virtuale, simbolico,ma fortemente esistente, ecco ora lo percorreremo insieme, come un viatico, ricordando, quando da bambini, ma anche adulti, il timore affascinante e seducente che aveva su di noi …

Iniziamo, insieme, il Viaggio tra l’ideale ed il reale:

Il Bosco all’inizio era La Foresta, primo incontro protagonista, natura selvaggia ed aspra, sede delle asperità dell’inconscio e del disorientamento umano, grande momento topico di iniziazione per l’essere umano: Un bosco di Salici e betulle dominato dall’ oscurità della non-conoscenza, e dalla paura, ma allo stesso tempo dalla fascinazione della scoperta del  sé, luogo contraddittorio abitato dall’ Eremita (eremiti da se stessi) alla ricerca della propria visione.

Tutto sarà interamente avvolto nel buio  solo la capanna dell’uomo-eremita, rappresentato nell’antichità da una lanterna(Demostene che cerca se stesso al buio). Perchè “’Oscurità illuminerà la Notte-(dell’anima)-”

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All’interno di un sistema dualistico l’Oscurità rappresenta  il Caos originario non ancora vinto dal Creatore, (la foresta)in questo senso rappresenta la lontananza dal Dio, al contrario può anche rappresentare l’Ineffabile, invisibile che il mistico non può distinguere dalla luce accecante

“E’ meraviglioso che l’Oscurità illumini la Notte”

Ossimoro che cerca di esprimere il confluire degli opposti  nella radice originaria dell’essere

L’oscurità la ricerca il mistico , l’eremita, come prova spirituale, fa silenzio dentro e fuori di sé affinchè nel buio si accenda la luce divina e della conoscenza…

L ‘opposizione originaria di luce e tenebre riempie tutto l’essere umano .Le sette misteriche credono di aver risolto completamente questa contraddizione e con essa l’enigma doloroso della vita :luce e oscurità sono tutt’uno.

La vita è nel contempo morte , l’oscurità è nel contempo luce

Mentre la foresta oscura simboleggia la paura dell’uomo dinnanzi alla natura ignota e selvaggia, il Boschetto,circoscritto nella sua estensione ,rappresenta un luogo di raccoglimento e di quieto incontro con potenze ed esseri sovrumani.

Nel Boschetto sacro di Dodona , in Epiro, si venerava Zeus, il quale esprimeva la sua volontà sotto forma di oracolo, attraverso lo stormire delle fronde delle Querce, a lui consacrate.

I Boschetti offrivano spesso protezione ai fuggitivi e sapete perché?

perché il buio cominciava a diradarsi, la luce del sole prepotente filtrava attraverso i rami, confortante e speranzosa.

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Edwige Mormile

la vostra psico-terra-peuta

IL Bosco

Questo  è il primo appuntamento di una serie che vi farà percepire la Natura come era alla sua origine, una visione sicuramente bizzarra ed insolita ma sicuramente interessante…

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Ecco che il Bosco appare , come una tentazione, prima fuga, poi rifugio, ed alla fine rivelazione di se stessi: è sempre stato il luogo dove l’uomo si nasconde per tornare alle origini, è espressione bruta, caotica, incontrollata delle forze naturali; potenza opposta e contrapposta alla luce… ma non potrebbe esistere senza il sole. Nel bosco vive il Lupo, quello che è dentro di noi, quello che incanta Biancaneve, o che vorrebbe divorare i tre porcellini, e loro non fanno nulla per proteggere la loro capanna.. tanto il Lupo prima o poi arriva, nessuno può evitarlo.

Il bosco già nell ’antichità era il sito del mistero, si celebravano i baccanali per l’incontro col Dio, i misteri per i vaticinii…i Romani lo chiamavano lucus, da lux, luce, era il bosco con radure, sacro, attraverso i rami filtrava la luce dei sole, l’illuminazione del Dio che si manifestava, si contrapponeva alla silva: dantesca, compatta, irta, impenetrabile, paurosa,priva della luce,equazione della grazia divina, e così lo ereditarono in epoca medievale:luogo di insidia, di agguati, di pericolo, ricordiamo il sacro Graal? La foresta, la silva, che i cavalieri dovevano penetrare, per non uscirne più, fortemente simbolico: per la ricerca del sacro Calice bisognava abbracciare il rito iniziatico, ed attraverso il superamento delle insidie,si forgiava il carattere, la volontà, lo spirito.

Allo stesso modo i monaci in epoca successiva, lo considerarono una sorta di pellegrinaggio spirituale, alla fine del quale riemergere purificati, e brillanti di luce interiore, spirituale.

Non possiamo negare, la magia,  la suggestione che esercita su di noi questo luogo, torniamo piccoli, ed il mistero ci riaccompagna, e diventa un luogo senza tempo, dove tutto è possibile, sognare, immaginare, giocare, ascoltare, annusare, gustare, vedere, e, a volte, non essere visti, nascosti, tutti i sensi vibrano all’unisono per ridarci il senso del magico e della poesia purtroppo oggi dimenticata.

Dalla Natura selvaggia alla Natura addomesticata, ed è proprio questo è il pellegrinaggio che l’uomo compie, ed ha compiuto nei secoli ,attraverso l’immagine-messaggio dell’eremita tra spiritualità e cultura materiale che s’imposta la doppia bipolarità.

L’immagine dell’eremita come genius loci del giardino e sacralizzazione della solitudine accorda all’uomo la capacità di tradurre la natura in cultura.

E’ solitario colui che ha scelto il momentaneo isolamento nella natura per assurgere alla conoscenza di sé, trait-d’union tra l’umano e il suo inconscio, per riuscire a trasformare il suo selvatico in giardino, ad addomesticare e guidare la (sua )natura avversa, compiendo il gesto sacrale che diviene emblema della conquista del mondo selvaggio, da parte del mondo civilizzato.

Edwige Mormile

Islam e la raffinatezza dei suoi giardini

Si potrebbe iniziare dicendo che Dio ama la bellezza ed il Giardino ne è una sua espressione, si potrebbe dire ancora che “Pairidaeza” in lingua Iraniana (Persiana) è il significante di Giardino, “crear attorno” proprio perchè presso quasi tutte le civiltà, il giardino, come pure il pa­radiso, è sempre stato uno spazio chiuso, una fabbrica di paesaggio destinata a progettare e incarnare ideali di vita… e l’Islam con la sua immensa cultura ne fa un simbolo di piacere e di gioia: tutto ciò che espressione di negatività viene soppresso nel giardino islamico è l’immagine sulla terra del Paradiso dettata dal Corano, è l’espressione della benedizione del monarca sulla natura, ricordiamoci, che siamo in un territorio aspro, caldo, secco, desertico, ma l’ingegneria degli arabi inventò dei sistemi di irrigazione ineguagliabili.Anche qui campeggiano le linee geometriche, i viali, la fontana da cui hanno origine i quattro fiumi del Paradiso, vettori verso i punti cardinali, simbolo della vita eterna…

Non possiamo non vedere le analogie e le somiglianze con l’ hortus conclusus cristiano, e poco ci importa chi prima e chi dopo …sono contemporanei, e questo è illuminante, il simbolismo del numero quattro è costante nei giardini, affonda radici nella Genesi, per gli antichi persiani il mondo è diviso in quattro ed al centro si trova la sorgente della Vita….

Gli arabi ed i Persiani erano maestri nell’arte delle coltivazioni: essi avevano tratto dalla necessità dei loro luoghi d’origine e dalla loro religione, le motivazioni a essere abilissimi creatori e curatori di orti,giardini, frutteti, vivai; giardini che servivano per produrre anche spezie e condimenti, bevande, confetture.

La raffinata cultura musulmana dedica intere sezioni alla poesia dei giardini, perfino i tanto pregiati e noti tappeti persiani riproducono con fiore e piante, il giardino, una tradizione che risale al IV sec. allo scopo di conservare anche d’inverno le forme ed i colori della natura…tappeti di potere, simboleggiavano l’egida del monarca sui cicli della vita.

Mi congedo da voi con pochi versi di un poeta arabo anonimo, attorno all’anno  mille recitava così:

“Se hai due monete, con una compra il pane,

con l’altra compra rose per il tuo spirito”…

giardini dell'islam

la vostra psico-terra-peuta :)

Buona settimana

Edwige Mormile

I Giardini dell’antica Roma

Dopo la visita organizzata a questo gioiellino, dedicata ai ritrovamenti archeologici appartenenti alla zona suburbana pompeiana di Oplontis, comprendendo la villa d’ otium chiamata di” Poppea”, la tentazione è stata grandissima a” venirvi a chiacchierar” di giardini romani….origine e archetipo di tutto quello che poi è seguito, fino ai nostri amati orti sui terrazzi di casa nostra: il giardino romano, nelle sue molteplici manifestazioni, poteva svolgere funzione di hortus e di sito dedicato allo svago e all’otium, per i latini imprescindibile dalle arti: si leggeva, si conversava, si musicava…in genere circondato da un peristilio, una sorta di porticato attorno al quale si affacciavano tutte le “stanze” della villa. geometricamente ripartito da viali rettilinei e ornato da sedili,statue,vasi,fontane,canali e bacini di acqua.Giardini dell'Antica Roma
Questi stessi elementi recuperati in età medievale secondo un’equazione cristologica sono i medesimi che troviamo nei giardini barocchi e rinascimentali esaltati per l’aspetto architettonico e svuotati dai simboli misterici: tanto per intenderci la Reggia di Caserta…di cui vi racconterò…Ma torniamo all’essenzialità ed al raccoglimento di questi antichissimi giardini: tra la fine dell’età Repubblicana e i primi decenni dell’Impero il giardino diviene, appunto il luogo delle ricche Residenze private del Patriziato romano, destinato alla coltivazione di ortaggi e piante utili, medicinali, tintoire e quant’altro diventa viridarium con piante ornamentali,arredi scultorei, fontane zampillanti, anch’esso ha una funzione sacra dedicato al rito prima di Priapo Dio della fecondità, verrà poi sostituito da Dioniso più o meno con la stessa funzione, ricordiamoci che i romani nulla hanno inventato ma mutuato tutto dall’ingegneria all’architettura per passare attraverso le arti dalla magnificenza e dal genio degli antichi Greci… sì proprio così gli italiani sono nati astuti….:) , così anche i loro giardini facevano il verso ai boschi sacri e ameni delle Sibille…perfino il carattere filosofico-letterario fu ereditato da loro: le scuole peripatetiche (in greco antico vuol dire “passeggiare”) portarono la filosofia all’esterno, e si tenevano le lezioni in questi giardini-scuole , dove il filosofo passeggiava e insegnava, e gli allievi a seguito ad ascoltare….

Giardini dell'Antica Roma

Bene tutto questo perché ve lo racconto? Perché vivere circondati dal bello, a cominciare dalle proprie case, dove la compagnia degli aromi, dei colori, del pensiero aiuta a vivere meglio, “loro” lo avevano già capito, che nessuno si salva da solo, ma con qualche espediente… ed allora ….allora “La bellezza ci salverà”
come sempre alla prossima
Edwige Mormile
la vostra psico-terra-peuta :)

I Giardini di Pietra

Quando la mia anima ha bisogno di ripiegarsi, perché troppo è stata depredata dall’umano, la mia mente va ai Giardini di Pietra, e per la precisione a Bomarzo: i Giardini di Bomarzo furono voluti dal Principe Vicino Orsini attorno al 1560, ma nulla si sa dell’architetto e dello scultore, un epigrafe accompagna una frase ” Solo per sfogar il core”…. e tutto dice…. questa è la sensazione che si avverte, il muschio che ricopre completamente le sculture, enormi, zoomorfe e antropomorfe, fa pensare alla vita ed alla morte ed al senso di consunzione senza il quale la poesia non ci sarebbe…e quindi il senso sequestrante e sospeso di questo luogo.

Enormi giganti in lotta appaiono in una natura spettinata che origina un bosco, e meraviglie su meraviglie fanno capolino: Cerbero, delfini, una tartaruga gigantesca…troppo poco si sa di questo giardino, percorso iniziatico, cammino di crescita spirituale, il ritorno al selvaggio e al mistero, rappresentato dal Bosco Sacro, di cui vi parlerò in un altro appuntamento, qualunque sia stata la motivazione, certo ne è il mistero, e la leggenda,narra che sia sorto su un’antica necropoli etrusca, ma mi piace pensare che quest’uomo coltissimo e bizzarro abbia voluto la ricreazione di un mondo interiore in cui perdersi per poi ritrovarsi ….Andate a visitarlo!

Edwige Mormile

ZetalaFormica giardini di bomarzo

“Trallalà trallalà ….Ho trovato un Uovo in Giardino!

Auguri, Auguri …. Proprio di un uovo oggi vi racconto, l’uovo della Pasqua e della Vita …. vi chiederete cosa hanno a che fare i giardini con le uova, ebbene rimarrete sorpresi!
Il cerchio come molti sanno rappresenta l’infinito e per antonomasia l’infinito è Dio, da qui la forma ellissoidale dell’uovo nell’antichità portò molto facilmente all’attinenza: attinenza e somiglianza imperfetta proprio come il mondo embrionale e in divenire: la cultura monastica riprese questa simbologia e la ricreò letteralmente nei suoi Chiostri, dando origine nell’immaginario e nel reale terreno, al Paradiso terrestre, quando visiterete un chiostro di un’ abazia medievale prestate attenzione alla prima aiuola che vi si porrà innanzi, la prima ricordate! Perché proprio in questa c’è la simbologia dell’uovo, della nascita, della vita.
L’aiuola, là dove preservata dal restauro, simboleggia il mistero della Creazione del mondo, e quindi dell’uomo, l’asse maggiore che l’attraversa, il vialetto, è rettilineo, simulazione della “retta via “ dantesca,quando il visitatore la percorrerà non si dimentichi che sta calpestando un tratto del Cielo giunto sulla terra: Dio si è fatto uomo ed è tra di noi nellaVita Eterna

Albero+della+vita++-+Pacino+di+Buonaguida+-+1305+-+1310+(Copia)
Ai poli estremi dell’aiuola – uovo, i due alberi: l’albero della Vita e quello della Rivelazione, ma non vi svelerò quali siano … quello che oggi, in questa giornata particolare di festa e di vita ci interessa è l’uovo ritrovato, quello che bendiamo sulle nostre tavole, quello che regaliamo ai nostri bambini, quello che dà alla luce i gialli e teneri pulcini, mi piacerebbe immaginare un racconto simile ad un bambino, tra realtà e fantasia, tra simboli e credenze, qualcosa che oscilla tra la fiaba e la vita … tra un “baffo “ di cioccolato e l’altro …Buona Pasqua a tutti
Edwige Mormile
La vostra psico -terra- peuta 

“Lo spazio che ‘possediamo’…una ‘casa’ nella casa”

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Come desidera la sua casa? E’ la domanda che ci sentiamo porre da un creativo al quale abbiamo deciso di affidare la realizzazione del nostro “mondo”. Non si tratta di un affidamento incondizionato, ne siamo, fin dall’inizio, consapevoli entrambi. E’ giusto che sia così. La nostra dimora è la manifestazione fisica dello spazio fantasioso che abbiamo escogitato, la trasposizione di uno stato interiore in uno esteriore, visibile, palpabile, praticabile. Credo che sia, un po’, come indossare un costume di carnevale, che ci trasfigura in un’immagine in cui vorremmo riconoscerci e che non riusciamo a vivere, finché non ce la sentiamo addosso e non percepiamo la sua influenza sui nostri atteggiamenti comportamentali. E’ come scegliere la meta di un viaggio, uno ambizioso, quasi impossibile, ma lo stesso che permette di far spaziare la nostra tridimensionalità mentale, per immaginarci in un altro mondo, prima nascosto, in cui e da cui guardare e fare esperienze. Allo stesso modo la casa interpreta il nostro sogno di vita, il luogo fisico, immagine di quello interiore. Allora l’idea, il progetto, il disegno, poi, gli oggetti nei loro spazi, diventano come gli elementi e le pedine di un gioco da fare da soli ed insieme con gli altri. Un gioco pratico e mentale che nasce dall’idea che abbiamo di noi, da quella che percepiamo del futuro e da quella legata ad uno stato di benessere e confort. Il viaggio rende reale il nostro spazio immaginario. L’abito veste concretamente la nostra fantasia. Gli oggetti raccontano la nostra esistenza. Ecco che le scelte degli oggetti, materiali, colori e forme si semplificano. Indagando sulla naturale necessità dello star bene, sul desiderio di coltivare e curare la persona, scopriamo quali possano essere  le scelte formali, visive ed estetiche adatte alla nostra personalità. Non si tratta di quelle immutevoli, perché noi stessi non lo siamo, ma di scelte che possano e debbano modificarsi a nostra misura, immagine del nostro essere, prendendo le sembianze dell’”io”. La casa, per questo, è lo specchio di ognuno di noi, che s’ innamora di uno spazio piuttosto che di un altro, che riceve e restituisce energie dall’ambiente che lo circonda. Vivere bene, per intuito, ci interessa più di ogni altra cosa; sentirsi a proprio agio ed in comunione con l’intorno, in uno stato di salute e benessere, sono le condizioni che rincorriamo, per noi e per tutti quelli con cui dividiamo il nostro piccolo spazio di mondo. Allora pensiamo all’ambiente che ci circonda, alla natura, ai luoghi, alla vita fuori e dentro, a quella di fronte, al nostro quartiere, a quelli che gli sono intorno, al clima, al paesaggio e facciamo in modo che questi elementi possano armonicamente incontrarsi ed interagire sensibilmente. Questa è la nostra casa, dentro e fuori di essa; ci stiamo bene, siamo felici e rendiamo felici le persone che sono con noi. Solo pochi giorni fa osservavo la mia casa pensando a quanto mi abbia restituito in poco tempo: quel ripetuto raggio di sole che attraversa la finestra d’ingresso al tramonto, la luce che, diffusa, invade lo spazio ogni giorno, la percorribilità e comunicabilità libera degli spazi, quei libri di lettura accatastati a terra che raccontano fasi di vita, gli oggetti da me realizzati, la finestra che affaccia sui campi, e oltre, il mare, il verde della collina e della campagna, ad ovest. Nonostante tutto, potrei cambiare casa, perché è la “ ‘casa’ nella casa” che sposto, o, potrei non lasciarla così com’è, trasformarla, inventando nuove soluzioni, oggetti e arredi. Come un puzzle, come un “lego”, aggiungerei e toglierei, sovrapporrei ed incastrerei per creare nuovi spazi, nuovi confini, altre barriere ed altri vuoti. Chiuderei un varco per altri libri ed aprirei un vuoto nel muro per una nuova comunicabilità. Acquisterei del nuovo verde per riempire un angolo, eliminerei un mobile per svuotare un altro angolo. Elementi con cui mi diverto a giocare per rispondere a nuove esigenze. E’ un sentire, l’esigenza di creare nuove dimensioni, barriere, scatole dentro scatole, piccoli angoli di mondo, specifici spazi di pensiero, complesse realtà interiori, razionalizzate in elementi misurati orizzontali e verticali. Quello spazio acquista una nuova dimensione di me, oggi diversa, che si collega al paesaggio circoscritto, un ribattere tra esterno ed interno della casa e un vivere me dentro e fuori. Sono come una bambina, in fondo,  che costruisco e decostruisco lo spazio come voglio, senza condizionamenti, solo governata da un’intima fantasia. Come fa la mia bambina che, giocando, apre le porte ad un nuovo mondo fatto di elementi simbolici. Crea una “casa” dentro la sua casa; capace di tramutare magicamente l’intorno in qualche altra cosa. I bimbi giocano con i simboli. Prendono cuscini che si allineano tutt’intorno per barricarcisi dentro, scatoloni che decostruiscono per crearsi una nuova dimora, altre scatole in cui si infilano chiudendosi o tenendole aperte per immaginarsi piloti o marinai. Coperte che creano capanne su sedie rovesciate, nell’immagine di mondi deserti o spazi verdi; aprono tovaglie per simulare colazioni sull’erba, allestendo oggetti con precisione; costruiscono case per bambole in un film animato, in cui loro stesse diventano attrici protagoniste. Dipingono su fogli, di cui non riconoscono più i confini, continuando a dipingere fuori, sul pavimento. Impiastrano di colori pareti, immaginando fossero tele o paesaggi, chissà, forse quelli che vorrebbero vedere dalle proprie finestre. In fondo, i bambini, desiderano crearsi mondi in cui riconoscersi, esprimere la loro interiorità e la volontà di essere ed esistere. Credo che la consapevolezza che riconoscono di loro, vada crescendo, divenendo complessa, anche nella definizione dello spazio e dei confini che li circondano e che scelgono, dentro e fuori di loro. Ma cos’è uno spazio fisico, in termini architettonici? Lo penso come il luogo che ci rappresenta, che, conformato a “nostra” misura, risponde alle esigenze di chi lo “abita” e lo vive occasionalmente, al fine di soddisfare un benessere psico-fisico che coinvolge tutti. Lo spazio è anche una “casa” al cui interno ce n’è un’altra, la nostra intima casa , quella che costruiamo con piccoli ed importanti gesti ed elementi, quella che creiamo prima con la mente, col cuore e l’immaginazione e che, poi,  si evolve e cambia, perché riflesso del proprio essere. Una casa nella casa, ecco lo spazio di ognuno di noi, il nostro piccolo mondo. Così è anche lo spazio dei bambini, a loro basta la fantasia per creare con poco. Quando i bambini vivono un luogo in cui non si adattano e non possono esprimere e godere della loro dimensione immaginativa e creativa, in cui non sono “liberi” di agire e muoversi, dove non sono autonomi, non si sentono protetti, accolti e tutelati, si creano il loro di spazio, una piccola “casa” in cui si raccolgono. A loro basta poco, un cuscino, una coperta, una scatola, un cartone per creare la loro dimensione di spazio, il loro spazio di mondo. Perché i bambini voglio possedere uno spazio, nel cuore delle persone come nei luoghi fisici che vivono. Anche quando la casa che vivono è fatta a loro misura, costituita per tener conto delle loro primarie esigenze, da soddisfare nel quotidiano senza l’aiuto di nessuno, vi creano la loro personale ed intima realtà fisica, restituzione di quella mentale. Creano i loro spazi esperenziali, di apprendimento e creatività, di socializzazione e di esclusività, sede di contatto con i fatti e gli eventi di ogni giorno, uno spazio dove tutto può essere osservato, toccato e sperimentato. Attraverso la loro “casa” si confrontano con le personali emozioni, in un luogo dell’immaginazione e della realtà in cui vengono a contatto con gli amici e gli adulti. “Uno spazio per l’anima”, fatto di fantasia, in cui sono anche soli, a volte, ma di una “solitudine che dà risposte sulla vita”. Riguardo degli interessanti appunti, presi tempo fa, rifletto su un’affermazione che rappresenta un principio non soltanto dei piccoli, a mio avviso, ma anche dei grandi, che conservano dentro un aspetto ancora bambino: “Nella visione della vita dei più piccoli dominano incontrastate armonia e semplicità, i sentimenti sono istintivi e la realtà si mescola al sogno ed in questa alternanza si sviluppa e costruisce la propria esistenza” . A proposito di questo, rileggo e suggerisco il pensiero di un medico pedagogista del ‘900, vicino ai principi montessoriani, Piaget, interessato allo studio delle strutture mentali dei bambini. Nello spazio che circonda i piccoli, esterno o interno che sia, si manifesta il loro mondo che costruiscono mentalmente e praticamente e continueranno a farlo anche da grandi. Questo ci accomuna a loro. Lo fanno in maniera prima istintiva costruendo un “gioco simbolico” in cui comprendono il mondo attraverso i simboli, per “trascendere i confini di tempo e spazio immediati e rappresentare diversi eventi simultaneamente”. Questo inizia quando “le azioni di routine e gli oggetti sono distaccati dai loro ruoli tipici e dalle loro funzioni ed usati in maniera a tipica, giocosa”. Le azioni e gli oggetti nello spazio offrono loro la possibilità di partecipare a due livelli di rappresentazione, quello basato sulla realtà e l’altro sulla finzione, due strutture importanti che vanno contemporaneamente mantenute. Anche i grandi sono un po’ così, o almeno dovrebbero esserlo. “ La differenza tra il pensiero del bambino e quello dell’adulto è di tipo qualitativo ( il bambino non è un adulto in miniatura ma un individuo dotato di struttura propria) (…) che il concetto di intelligenza è strettamente legato al concetto di ‘adattamento all’ambiente’. L’intelligenza non è che un prolungamento del nostro adattamento biologico all’ambiente (…) la conoscenza del bambino si basa sull’interazione pratica del soggetto con l’oggetto”. “ Il bambino non è un adulto in miniatura”, ma potremmo, invece, pensare che l’adulto sia una sorta di bambino cresciuto, perché il suo approccio allo spazio è un po’ come quello di un bambino: costruisce il suo spazio dal cuore, a sua misura gli dà dei confini stretti e accoglienti, nell’esplorazione della conoscenza di sé, anche inconsapevole, e, attraverso la costruzione di elementi e la modifica autonoma del piccolo luogo in cui sta, , si accomoda all’ambiente, per accogliere e confortare sé e gli altri con cui si incontra per viverlo, lo imita , a volte modificando anche qualcosa di sé, in relazione agli stimoli dell’ambiente stesso. Si adatta, insomma, proprio come fa un bambino.

01/04/2015

Alessandra Fanì

Il Recinto

Oggi vi voglio parlare del recinto….uhummm….a qualcuno susciterà ansia ad altri protezione ad altri ancora costrizione….curioso vero?

Ma procediamo con ordine, i recinti, i muri, le staccionate affondano radici lontane, radici narratrici di “saltus”,la natura selvaggia, irta, pericolosa, la natura degli ululati notturni da cui bisognava solo proteggersi, da qui la necessità di addomesticare,di razionalizzare,di controllare….l’ager cultus, l’hortus…l’ordine.E’ simbolico e nello stesso tempo casuale quanto affascinante che questo compito sia stato assolto all’alba del medioevo dai monaci, che compiendo un gesto sacrale assurgono la natura selvaggia, addomesticandola, ad emblema del mondo civilizzato….Quanto ci sarebbe da dire…l’orto monastico, recintato, immagine di un altro recinto: il Paradiso terrestre…di qui il giardino, o orto, immagine di purezza e  assenza del peccato: L’ hortus  Conclusus…Forse adesso se il pensiero corre al recinto è probabile che non susciti ansia, ma pace,protezione, sicurezza, controllo.

Ma, il giardino, recintato, è molto, molto di più: è il luogo dove spesso c’è il nutrimento, c’è la vita, c’è la nostra casa,è uno spazio dove esperiamo la vita, la morte ed ancora la vita…ed allora questo confine cosa sta a proteggere? Custodisce un rapporto orizzontale tra noi e la terra, ma solo per garantirne uno in verticale, quello tra noi e la Vita e il Dio.

Alla prossima

la vostra psico-terra-peuta

bretagna
bretagna